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Don Coluccia, il prete di strada che “spara” preghiere contro crimine e degrado

Nella Capitale il sacerdote salentino è diventato lo spauracchio di spacciatori e mafiosi. Vive da anni sotto scorta, lo hanno minacciato e aggredito, ma non molla.

ROMA – Se c’è un prete che ci ricorda più da vicino il mitico “Don Camillo”, reso celebre dalla penna di Giovannino Guareschi, questi è don Antonino Coluccia, 48 anni, da Specchia, provincia di Lecce. Il sacerdote salentino, votato all’ordine dei Vocazionisti, è il nemico numero 1 di spacciatori e delinquenti e non c’è angolo “sporco” di Roma che non abbia tentato di ripulire con il suo megafono attraverso il quale “spara” a raffica preghiere e parabole contro i criminali che spesso fuggono al suo passaggio. Una battaglia, quella di don Antonino, estremamente pericolosa che lo ha costretto a vivere sotto scorta, giorno e notte, ormai da anni. E dire che prete c’è diventato in tempi relativamente recenti perché Antonino Coluccia, da ragazzo, frequentava l’istituto alberghiero ed i suoi hobby erano le arti marziali, pallavolo, calcetto e le gite fuori porta con la moto, meglio se con belle ragazze in sella.

Don Coluccia con il suo inseparabile megafono nei quartieri a rischio

Irrequieto e ribelle, con tanto di ciuffo sulla fronte, ieri come oggi, Antonino non disdegnava comunque di frequentare la parrocchia. A vent’anni inizia a lavorare in una fabbrica di calzature ma entra in contrasto con i titolari perché difende i diritti degli operai come sindacalista. Una volta licenziatosi dalla fabbrica di scarpe parte per l’Albania come volontario e aiuta gli sfollati del Kosovo dove rimane diversi mesi prima di tornare in Italia. Lo zio sacerdote crede nella vocazione del nipote e nel 1986 Antonino inizia a frequentare il seminario ma una litigata con il direttore lo mette alla porta e il giovane torna a casa.

Sarà un altro sacerdote a indirizzarlo per bene e Coluccia, stavolta, ci azzecca e prende i voti che furono di san Giustino Russolillo, fondatore dei Padri Vocazionisti. Nel settembre 2001 don Antonino si trasferisce Roma dove si dedica, anima e corpo, alla lotta alle mafie, alla droga, al degrado sociale delle periferie capitoline. Diventa viceparroco nella chiesa di San Filippo Apostolo in via di Grottarossa ma non intende diventare titolare dell’incarico. Coluccia è un prete da strada, da bar dello Sport, dove incontra giovani e adulti nullafacenti e drogati, facili prede della criminalità organizzata: “Datemi un pallone e vi faccio vedere come li tolgo dalla droga”, dice il prete a chi gli chiede se c’è salvezza dalla morte chimica.

Don Coluccia durante una pausa dell’ultimo Vertice antimafia di Mede (Pv)

A San Basilio il sacerdote gestisce con Le Fiamme Oro della Polizia di Stato una palestra di “pugilato sociale”, con ingresso gratuito, ubicata all’interno di un palazzo confiscato alla mafia dove si fa aiutare da una decina di ex carcerati e tossicomani. Con il suo megafono non è difficile incontrarlo, sempre attorniato dai suoi angeli custodi, a Tor Bella Monaca, a Quarticciolo, Centocelle, Torpignattara e anche ad Ostia, regno incontrastato del clan Spada. Ogni quartiere ha i suoi guai e don Coluccia li evidenzia senza peli sulla lingua urlando dentro il microfono che il “male” se ne deve andare senza contaminare le persone per bene. Il sacerdote è stato oggetto di minacce di morte ma anche di aggressioni ma nulla è in grado di fermarlo, nulla e nessuno.

L’ultimo “avvertimento”, ma sarebbe meglio chiamarlo grave atto intimidatorio, il 29 agosto dell’anno scorso quando un balordo, in sella a una Yamaha T-Max, tentava di travolgere il religioso in via dell’Archeologia. Grazie ad un uomo della scorta si evitava il peggio e l’aggressore, ferito al braccio da un colpo di pistola, veniva arrestato. In quell’occasione tutta Roma si è stretta attorno a don Antonino Coluccia, dal sindaco Roberto Gualtieri al presidente della Regione Francesco Rocca, dalle associazioni antimafia alla gente comune, dai sindacati ai politici di tutti gli schieramenti. Monsignor Baldo Reina, vescovo e vicegerente del Vicariato di Roma, da sempre vicinissimo al don con il ciuffo sbarazzino, non esitava a dire che “questi atti non scoraggeranno don Coluccia”, e come potrebbero?

Don Coluccia con la Polizia di Stato

”Prossimità significa andare sui territori – ha detto don Coluccia in occasione del Vertice antimafia di Mede, in provincia di Pavia – e cercare di comprendere quali sono le criticità e poi offrire alternative. Bisogna stare sul campo…”.

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