Chiesto il risarcimento di un milione. Il padre Gino: “Giorno di grande dolore, penso sempre a lei”. Se sarà provata la premeditazione, Filippo rischia l’ergastolo.
Venezia – A meno di un anno dall’omicidio di Giulia Cecchettin, è iniziato stamani il processo a Filippo Turetta, il giovane che ha confessato di aver ucciso a coltellate – ben 75 – l’ex fidanzata l’11 novembre scorso, nel parcheggio davanti a un’azienda di Fossò (Venezia) per poi occultarne il cadavere in un canalone in Friuli e fuggire in Germania, dove è stato catturato una settimana dopo.
Oggi come previsto Turetta non si è presentato in aula, una linea scelta dal suo legale Giovanni Caruso, che difende il giovane insieme alla collega Monica Cornaviera, nell’intento di non spettacolarizzare ulteriormente una vicenda che è già stata al centro di un caso mediatico senza precedenti per quanto concerne i femminicidi e la violenza di genere. Turetta potrebbe non presentarsi neanche nelle future udienze: “Mi attiverò affinché Turetta venga in aula per rispondere ai giudici. Certo, non oggi, ma quando sarà il momento”, ha detto stamani Caruso rispondendo ai cronisti e ribadendo l’intenzione di non chiedere la perizia psichiatrica per il 23enne reo confesso.
Quanto al rimborso che Turetta dovrà alla famiglia di Giulia, l’avvocato Nicodemo Gentile che tutela la parte civile Elena Cecchettin, sorella di Giulia, ha fatto sapere che la richiesta sarà di un milione di euro, “stima che si basa sulle tabelle della Giustizia”.
La sentenza sarà letta il 3 dicembre, ha deciso la Corte d’Assise di Venezia. Il calendario stilato dal collegio giudicante prevede due udienze il 25 e 28 ottobre per l’esame di Turetta. Successivamente, il 25 e 26 novembre la discussione, quindi il 3 dicembre repliche e sentenza.
In aula Gino, il papà di Giulia
In aula c’era invece Gino Cecchettin, il papà di Giulia. “Oggi è un giorno di grande dolore – le sue parole riportate dall’Ansa – come tutti gli altri giorni del resto. Stamattina a casa non ho parlato del processo, ho salutato tutti come ogni giorno e sono venuto qui. Sono sicuro che il Giudice, il collegio, sapranno ben giudicare quanto è successo con la pena giusta che sarà stabilita dalla giuria”. Gino non sa se ci sarà alle prossime udienze: “Non mi interessa – ha commentato – se sarà un processo veloce o lungo, anche se per me è uno stillicidio, non sto assolutamente bene: ogni giorno penso a Giulia”.
Gino ha aggiunto, sempre secondo l’Ansa, di non temere la presenza di Filippo in aula e ha detto di non sentire i Turetta da un pezzo, anche se nei loro confronti “non c’è rancore, tutti abbiamo le nostre colpe”. La sua priorità, del resto, è un’altra: “Ora porto avanti la battaglia che ha iniziato mia figlia Elena – ha spiegato Gino -con la Fondazione che si basa sui valori di Giulia”.
Turetta rischia l’ergastolo
Turetta deve rispondere di omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà, efferatezza e stalking, oltre che di occultamento di cadavere. E il cardine su cui ruota il processo è proprio la premeditazione. Negli interrogatori, Turetta aveva ammesso di aver portato in macchina la notte dell’omicidio due zainetti, uno con alcuni regali per Giulia, l’altro con un kit per il delitto. Nel cellulare del giovane, sottoposto a sequestro, gli inquirenti hanno inoltre trovato una lista-vademecum di cose da fare e oggetti da procurarsi, stilata quattro giorni prima dell’omicidio: “Fare il pieno, controllare sportelli, ferramenta, lacci di scarpe, calzini, sacchetti immondizia, nastro adesivo, legare sopra caviglie e sopra ginocchia, spugna bagnata in bocca, coltello”. Un vademecum dell’orrore, aggiornato aggiungendo le spunte verdi accanto alle cose già fatte o procurate, che dimostrerebbe come lui abbia pianificato con cura tutti i dettagli del femminicidio, che non sarebbe quindi effetto di un raptus improvviso – come lui ha sostenuto davanti all’accusa – ma un’azione premeditata e voluta. Il che, se sarà provato, potrà comportare per Turetta il massimo della pena, ossia l’ergastolo.
Venerdì sera la trasmissione tv “Quarto Grado” in onda su Retequattro ha mostrato in esclusiva parte del video dell’interrogatorio, durato in tutto circa 7 ore, in cui il 1° dicembre 2023 Turetta, nel carcere Montorio di Verona, racconta agli inquirenti i dettagli dell’omicidio. Ore in cui il giovane, rispondendo alle domande, non ha mai versato una lacrima e ha parlato rivolgendo spesso lo sguardo a terra.
Chi sono i testi nel processo
Nell’aula della nuova Cittadella di Giustizia in piazzale Roma, per Turetta sarà chiamato a deporre un solo teste, il medico legale Monica Cucci. Una trentina sono invece quelli invocati dal pm Andrea Petroni: tra loro figurano i carabinieri che hanno condotto le indagini, il padre di Giulia, Gino, la sorella Elena, le amiche, poi i consulenti medico legali e l’uomo che aveva chiamato il 112 segnalando la lite e la prima aggressione nel parcheggio di Vigonovo, vicino alla casa di Giulia. La parte civile per la famiglia Cecchettin non ha depositato liste di testimoni in un processo che si preannuncia “minimal”, in un’aula con solo 18 posti per le parti processuali e 40 suddivise in egual misura tra pubblico e giornalisti.
Il presidente della Corte d’Assise di Venezia, Stefano Manduzio, e i giudici del collegio si sono ritirati in camera di consiglio per deliberare sulla costituzione delle varie parti civili nel processo contro Turetta. Oltre alle parti civili rappresentate dai familiari di Giulia Cecchettin, il padre Gino, lo zio, la nonna, i due fratelli della ragazza, Elena e Davide, hanno chiesto di essere iscritte le associazioni “Penelope”, “Differenza donna”, “Punto Ups”, “Prevenzione ‘Marianna” e “I care you care”, oltre ai Comuni di Vigonovo, dove Giulia viveva, e di Fossò, dove è avvenuto l’omicidio. Il legale di Turetta avrebbe però chiesto che vengano respinte come parti civili tutte le associazioni perché, ha spiegato, “il processo non può diventare un vessillo di questi soggetti”, ed ha aggiunto di non capire “la ratio della costituzione dei due Comuni”.