Uno studio giapponese rivede al rialzo il tasso minimo di fertilità per garantire la sopravvivenza umana. Ma i numeri, soprattutto in Italia, sono drammaticamente bassi.
La denatalità è diventata un tratto peculiare delle società a capitalismo avanzato, quelle che una volta venivano definite opulente. La locuzione entrò prepotentemente nel linguaggio giornalistico al punto da trasformarsi in un cult nella cerchia degli intellettuali negli anni ’60-70. Ma l’espressione fu coniata già nel 1958 grazie ad un libro dell’economista statunitense J.K. Galbraith. La società opulenta fu definita tale in quanto la scarsità di beni e la diffusa povertà vennero sostituite da un generale benessere economico.
Tuttavia all’opulenza del settore privato dell’economia, che permetteva un decoroso livello di vita per gran parte della popolazione, faceva da contrasto, secondo l’autore, lo squallore del settore pubblico che non riusciva a fornire un adeguato sistema di sicurezza sociale nonché quel complesso di strutture pubbliche le quali, pur non aumentando direttamente la ricchezza individuale, erano elementi fondamentali per una migliore qualità della vita.
Sta di fatto che oggi si mettono al mondo pochi figli. E nemmeno il tasso standard, 2,1 figli per donna, ossia il requisito minimo, ci salverebbe dalla scomparsa del genere umano! I modelli matematici più aggiornati sono del parere che bisogna spostare il tasso a 2,7 figli per donna.

Questi dati sono stati diffusi da una ricerca condotta dall’Università di Shizuoka, Giappone e pubblicata da “Plos One”, una rivista scientifica ad accesso aperto, edita negli USA. In questo studio, per la prima volta, sono state inserite variabili causali, tra cui: i tassi di mortalità; le differenze nel numero di figli che le donne, di fatto, hanno; i rapporti sessuali; la possibilità che alcuni adulti non hanno figli. Sarebbe interessante conoscere la metodologia utilizzata per il calcolo dei rapporti sessuali, ma il report non ne fa menzione!
Comunque, secondo gli autori, la combinazione di questi fattori ha fatto scendere i valori che erano considerati certi per la sopravvivenza della specie. E’ necessario, quindi, alzare il tasso di fertilità, se si vuole la stabilità della popolazione. Già si pensa a squadre di esperti del ramo, che in maniera furtiva si aggirano tra i cittadini a stimolarli alla crescita della popolazione, pena la sua scomparsa. Sono le popolazioni di piccole dimensioni maggiormente soggette alla tendenza, col rischio di scomparsa di intere stirpi insieme alla loro lingua e tradizioni popolari.

In Italia, tanto per cambiare, la situazione è peggiore. Il tasso di fertilità, infatti, è di 1,18 figli per donna, più basso di quello standard di 2,1. Vista la situazione, è necessario un tasso di fertilità di almeno 2,7 figli per donna. Nel nostro Paese, con la carenza del welfare state, è una quota quasi impossibile da raggiungere. Come si fa a mantenere quasi tre figli coi magri stipendi che ci sono, considerato che già metterne al mondo uno scombussola i bilanci familiari?
Infine, dalla ricerca è emersa una particolarità: le nascite di femmine in numero maggiore rispetto ai maschi. E’ un dato positivo perché permette di diminuire il rischio di scomparsa, stimolando la sopravvivenza. Questo fenomeno è stato riscontrato quando in periodi storici estremamente difficili a causa di guerre, carestie e disastri nascono più femmine che maschi. Alla resa dei conti, l’estinzione della specie umana non sarebbe, poi, così disastrosa, visti gli immani disastri che ha combinato nel corso dei secoli e continua tuttora!