A 29 anni dall’assassinio della segretaria, il maresciallo Giuseppe Mariotta e Adriana Berisso parlano dei primi sospetti su Anna Lucia Cecere, oggi imputata per omicidio aggravato.
Genova – Si è tenuta questa mattina, davanti alla Corte d’Assise di Genova, un’udienza cruciale del processo per l’omicidio di Nada Cella, la segretaria di 24 anni uccisa il 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco, a Chiavari. A quasi 29 anni dal delitto, i testimoni chiave – il maresciallo Giuseppe Mariotta e Adriana Berisso, 83 anni – hanno riportato in aula i primi sospetti su Anna Lucia Cecere, oggi imputata per omicidio aggravato, gettando nuova luce su una vicenda che sembrava destinata a rimanere un cold case. Intanto, Marisa Bacchioni, madre di Soracco, è stata prosciolta per incapacità a sostenere il processo, lasciando il commercialista, accusato di favoreggiamento, e Cecere come unici protagonisti di un dibattimento che si preannuncia complesso.
Il maresciallo Giuseppe Mariotta, all’epoca in servizio al Nucleo Investigativo di Sestri Levante, ha aperto l’udienza ripercorrendo i giorni successivi al delitto. A dare il via alle indagini su Anna Lucia Cecere fu Adriana Berisso, titolare di una concessionaria d’auto, che si presentò ai carabinieri chiedendo l’anonimato. “Ci disse che Cecere era attirata da Soracco, smentendo quanto lui aveva dichiarato, ovvero di non conoscerla”, ha spiegato Mariotta. Berisso riferì di uscite in discoteca tra i due nell’anno precedente al delitto e di un episodio in cui Cecere, recatasi nello studio di Soracco, si era scontrata con Nada Cella. “La nostra fonte disse che Cecere era molto infastidita dall’atteggiamento della segretaria, che l’avrebbe trattata con ostilità, quasi a volerla allontanare dal commercialista. ‘Chi si crede di essere?’, avrebbe detto”, ha ricordato il maresciallo.
Mariotta ha poi svelato dettagli sospetti sui movimenti di Cecere il giorno dell’omicidio: “Secondo Berisso, uscì di casa prima del solito, rientrò poco dopo e uscì di nuovo. Nei giorni successivi, lei e la madre la videro stendere una quantità insolita di bucato, con scarpe e uno strofinaccio”. Questi elementi spinsero i carabinieri a chiedere al pm Filippo Gebbia l’intercettazione del telefono di Cecere e a perquisirne l’abitazione. “Entrammo e notammo una freddezza spiazzante da parte sua”, ha detto Mariotta. L’obiettivo era trovare un collegamento con il bottone rinvenuto sulla scena del crimine, un reperto chiave con incisa una stella e la scritta “Great Seal of the State of Oklahoma”. “In un cassetto trovammo bottoni apparentemente identici. Cecere disse che erano di una giacca logora che aveva buttato, ma non trovammo traccia di una giacca senza bottoni”, ha aggiunto. Tuttavia, nessun segno di ferite fu notato sulle sue mani.
I bottoni sequestrati alimentarono l’entusiasmo dei carabinieri, ma il confronto con quello della scena del crimine si rivelò problematico. “Avevamo solo una foto in bianco e nero del bottone originale, e i nostri avevano una cornice che quello non presentava”, ha spiegato Mariotta. Convinti di avere un riscontro, i militari informarono il pm Gebbia, ma la reazione fu fredda: “Ci disse che gli elementi non erano incisivi e che l’indagine della polizia su Soracco offriva piste più concrete. Chiesi di interrogare Cecere e insistere con le intercettazioni, ma lui ci fermò, dicendo che non avrebbe portato risultati”. Dopo pochi giorni, il fascicolo su Cecere fu chiuso, e l’attenzione si spostò sul commercialista, allora principale indagato.
Un altro tassello è emerso dalla testimonianza dell’ex comandante del Nucleo Investigativo di Chiavari, Vincenzo Leo. Due mendicanti del posto – una donna disabile su sedia a rotelle e suo figlio – riferirono di aver visto, poco dopo il delitto, una donna con una mano insanguinata allontanarsi dallo studio di Soracco. “La descrissero come una persona della zona, che si guardava intorno nervosamente. La loro versione era coerente, e la descrizione combaciava con Cecere”, ha detto Leo. Anche Berisso confermò di aver parlato con i due, rafforzando il racconto. “Si presentarono in modo serio, consapevoli dell’importanza della vicenda”, ha aggiunto il carabiniere.
Adriana Berisso, chiamata a deporre, ha confermato il legame tra Cecere e Soracco. “Un giorno mi chiese un vestito per andare a ballare a Uscio con lui. Vidi l’Audi 80 di Soracco, che avevamo venduto noi, e capii che si conoscevano”, ha raccontato. Ricordò anche l’episodio nello studio: “Mi disse che Nada l’aveva trattata male, e la cosa la infastidì”. Tuttavia, l’anziana ha mostrato lacune su alcuni dettagli, come la data precisa dell’uscita mattutina di Cecere, pur confermando il bucato sospetto: “C’erano scarpe e di tutto”. Sul motivo dell’anonimato, ha spiegato: “Il padre di Soracco era segretario della Dc, a Chiavari comandavano certi personaggi. Non volevo guai, pensavo di aiutare Soracco denunciando Cecere, che mi sembrava strana, piena di rancore”.
L’udienza ha messo in luce le carenze delle indagini del 1996, interrotte troppo presto su Cecere, e ha riacceso i riflettori su una proposta di matrimonio che, secondo Berisso, l’imputata avrebbe fatto a Soracco. Mentre Marisa Bacchioni esce di scena per motivi di salute, il processo proseguirà contro Cecere e Soracco, con la pm Gabriella Dotto decisa a dimostrare che il delitto fu un atto di gelosia e rancore. A Chiavari, la verità su Nada Cella sembra più vicina, ma il peso di quasi tre decenni di silenzi e omissioni grava ancora sull’aula.