Delitto di via Poma: il memoriale segreto

Le luci su uno dei più odiosi omicidi irrisolti italiani si riaccendono. Salta fuori un memoriale segreto scritto dal portinaio Pietro Vanacore.

ROMA – Il 7 settembre 1990 nella tarda serata veniva rinvenuto il corpo trucidato di Simonetta Cesaroni, su di esso la macabra firma dell’omicida, 29 coltellate. Il cadavere martoriato giaceva sul pavimento dell’ufficio presso cui lavorava, quello della A.I.A.G (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù) con sede nel palazzo del civico 2 di via Poma. A distanza di quasi 35 anni un memoriale del portiere Pietro Vanacore, impiegato al tempo del delitto proprio nell’edificio teatro della tragedia, potrebbe illuminare il buio fitto da cui è avvolto il famoso cold-case. Prima del suicidio, occorso nel 2010 in strane circostanze Vanacore, lasciò una lettera olografa rimasta segreta fino a poche settimane fa.

Simonetta Cesaroni

L’omicidio

Secondo la ricostruzione delle tempistiche, gli inquirenti determinarono che quel maledetto giorno Simonetta sarebbe entrata negli uffici della A.I.A.G alle 16.00 o poco prima. La Cesaroni non lavorava di solito presso quegli uffici, la donna infatti è una dipendente della Reli SAS e il suo datore di lavoro, Salvatore Volponi, le ha proposto di occuparsi della contabilità di uno dei suoi clienti, l’A.I.A.G per l’appunto. L’ufficio di via Poma quel giorno è chiuso al pubblico, ma grazie ad un mazzo di chiavi fornitole da Volponi la ragazza apre il portone. Alle 17.15 Simonetta telefona a Luigina Berrettini, una collega e dipendente dell’A.I.A.G. Le due parlano per qualche minuto di lavoro e quella chiamata sarà l’ultima testimonianza di Simonetta Cesaroni in vita. Alle 18.20 la vittima dovrebbe contattare Volponi per aggiornarlo sullo stato dei lavori, non lo farà mai. I familiari attendono Simonetta a casa ma la donna non torna, alle ore 21 la sorella Paola fa scattare le ricerche. Paola Cesaroni, accompagnata dal fidanzato Antonello Barone, raggiunge Salvatore Volponi presso la sua abitazione. Il datore di lavoro di Simonetta afferma di non essere in possesso del numero di telefono degli uffici dell’A.I.A.G così, con suo figlio Luca, decide di accompagnare la coppia allo stabile di via Poma. Qui, alle 23.30 circa, i quattro si fanno aprire il portone degli uffici dalla moglie del portiere, Simonetta giace sul pavimento morta, ammazzata con 29 coltellate.

Lo stabile di via Poma dopo il delitto

I sospetti, le indagini e i processi.

La sera del 7 agosto il vicequestore di Roma e agente del SISDE Sergio Costa effettua il primo sopralluogo sulla scena del crimine. Simonetta Cesaroni viene rinvenuta supina parzialmente svestita e ferita in più parti del corpo da con un’arma da taglio. I fendenti colpiscono la giugulare, cuore, aorta, fegato e occhi. Il sangue è decisamente poco per il tipo di brutalità operata durante l’omicidio, l’alone scuro sotto il corpo della vittima suggerisce infatti un tentativo di pulizia della scena del crimine da parte dell’assassino o di un eventuale complice. La successiva autopsia accerterà che la vittima è stata colpita da un’arma bianca da punta e taglio, con lama a doppio filo. Gli esami autoptici rivelano altresì la presenza di varie tumefazioni al volto mentre si accerterà che il decesso è avvenuto tra le 18 e le 18.30. La causa: shock emorragico occorso in seguito alla violenza dei fendenti inferti. Le indagini si concentrano in primis su uno dei portieri dello stabile, Pietro Vanacore.

Pietro Vanacore e la moglie Giuseppa De Luca

La testimonianza degli altri portieri secondo i quali nessuno sarebbe entrato nell’edificio dalle 16.00 alle 20.00 suggerisce che l’omicida potrebbe essersi trovato già all’interno della scena del crimine. I colleghi di Vanacore riferiscono agli inquirenti che durante quella fascia oraria si trovavano tutti in cortile per scambiare quattro chiacchiere e mangiare un cocomero, ma proprio Vanacore non era presente. Poi viene repertato del sangue sui pantaloni che Pietrino Vanacore indossava il giorno della morte di Simonetta. L’uomo viene arrestato preventivamente il 10 agosto, accusato di omicidio e rinchiuso in carcere, dove rimarrà per 26 giorni. Le indagini seguenti accertano che il sangue sui pantaloni appartiene allo stesso Vanacore, che soffre di emorroidi, per quanto riguarda le altre prove risulteranno circostanziali una volta a processo. La posizione del portiere verrà archiviata il 26 aprile 1991. L’uomo morirà suicida in strane circostanze nel 2010, lascerà un messaggio in cui darà la colpa dell’insano gesto al peso di 20 di processi a suo carico. Avrebbe dovuto deporre di nuovo in tribunale solo tre giorni più tardi.

A due anni dall’omicidio le indagini prendono una svolta inaspettata: un cittadino austriaco, tale Roland Voller, dice di avere informazioni certe sull’identità dell’assassino di via Poma. Voller afferma di essere intimo amico di Giuliana Valle, moglie dell’architetto Cesare Valle, entrambi inquilini dello stabile di via Poma. Roland Voller afferma che la donna gli avrebbe confidato che la sera del delitto suo figlio, Federico Valle, sarebbe tornato a casa coperto di sangue e con un vistoso taglio sulla mano destra. Nulla di tutto ciò viene confermato dalle testimonianze delle persone coinvolte a vario titolo mentre Roland Voller si rivelerà per quello che é: un truffatore e collaboratore saltuario della polizia. Anche questa volta un buco nell’acqua, Le indagini vengono chiuse e riaperte per diversi anni. Nel 2004 è Raniero Brusco, il fidanzato di Simonetta, a finire nel mirino degli investigatori. Le indagini si concentreranno sull’uomo fino alla sua condanna in primo grado per omicidio nel 2011. Secondo l’accusa le tracce di saliva del fidanzato sul reggiseno della vittima e la presenza di materiale genetico sulla scena del delitto sembrano incastrare Brusco oltre ogni ragionevole dubbio. Ma l’imputato verrà riconosciuto innocente sia in Appello nel 2012 che in Cassazione nel 2014.

Il recupero del cadavere di Vanacore

Secondo i giudici le prove sarebbero per lo più circostanziali e non ci sarebbe nulla di realmente concreto ad indicare la colpevolezza di Raniero Brusco. Un’altra teoria, che la stessa PM Gianfederica Dito definirà: “Suggestiva ma priva di riscontri.“, prima di chiederne l’archiviazione definitiva, è quella riguardante un presunto approccio sessuale respinto da parte di Mario Vanacore, figlio del portiere Pietro, ai danni della Cesaroni. La notizia salta fuori grazie ad un articolo di Repubblica del 2023, ma come già detto in precedenza la pista si arena in fretta. Proprio dalla famiglia Vanacore però giunge una nuova speranza. Un memoriale fino a poche settimane fa confidenziale e scritto da Pietro Vanacore potrebbe diradare le pesanti nubi che ancora oggi si addensano sul caso.

Il memoriale 

L’ultima tessera del puzzle sarebbe quindi un memoriale, una lettera olografa che Vanacore avrebbe lasciato come testamento prima di mettere fine alla sua vita. Pietrino avrebbe confessato nella sua narrazione di essere “stato costretto a mentire perché ricattato per ben 20 anni“. Il documento esiste davvero? La fonte dello scoop sarebbe un giornalista che si è occupato del caso e che in passato sarebbe anche stato convocato dai magistrati inquirenti. Secondo la giudice per le indagini preliminari Giulia Arcieri: “È del tutto plausibile che Vanacore abbia inteso proteggere i familiari con la rivelazione di una verità da lui tenuta nascosta per 20 anni.”. Il presunto memoriale di Vanacore sarebbe dunque una sorta di assicurazione sulla vita per la famiglia, un ultimo gesto estremo a protezione dei suoi cari. Stando sempre alla fonte riservata la lettera doveva essere distrutta alla morte di Giuseppa De Luca, moglie di Vanacore. Sempre secondo il Gip Arcieri infatti la donna “conosce molto di più di quanto dichiarato agli inquirenti.”.

Uno dei tanti biglietti scritti da Pietro Vanacore

Sempre che non sia tutto fumo negli occhi, la nuova svolta potrebbe portare alla definitiva risoluzione del caso, rivelandoci infine quale oscuro e opprimente segreto custodisse Pietro Vanacore e che cosa lo spinse a togliersi la vita.

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