Non abbiate paura, diceva accorato Giovanni Paolo II. L’interruzione delle funzioni religiose inducono i fedeli a perdere la fiducia nel Divino e nel soprannaturale
La psicosi del virus ha infettato la società in tutti gli aspetti e nelle sue molteplici dimensioni.
Insieme al numero di contagiati, si registra il crollo dell’economia, del commercio, del turismo, della serenità familiare, della vita ordinaria, delle attività e dei progetti scolastici. Persino la dimensione religiosa è stata intaccata da un terribile, nuovo virus. In questi giorni abbiamo assistito alla chiusura delle chiese, luoghi di preghiera e di speranza, che non dovrebbero essere equiparate a un cinema o a un teatro. Non celebrare la messa, che rinnova il sacrificio della Croce e realizza un ponte tra l’uomo e Dio, significa aver perso la fiducia nel divino e nel soprannaturale. Valorizzare il “digiuno eucaristico” è come indorare una pillola amara, che resta tale.
Desta stupore la notizia della chiusura delle piscine del santuario di Lourdes, il “luogo dei malati, che la Vergine volle per lenire le sofferenze del corpo e dello spirito, un luogo di preghiera e sacrificio, che non ha mai temuto neppure le malattie più infettive né le ferite più purulente. Significa confessare ad alta voce di non credere in Dio e nell’intercessione della Madonna”.
Chiudere il luogo simbolo della speranza, della fiducia, dell’abbandono alla volontà di Dio, significa quasi bestemmiare, negando la preziosità di Lourdes, dove “non si va ‘per guarire’ ma per ‘essere guariti’ dal piombo dello sconforto, del buio spirituale, dell’immanenza di un dolore che non può comprendersi se non alla luce d’un senso soprannaturale, di quella sofferenza che innesca uno specialissimo rapporto Dio-Uomo, perché quello stesso Dio, nella carne, ha sofferto ed è morto per la nostra redenzione”.
Da barelliere dell’Unitalsi ho assistito a scene d’immensa fede e di profonda devozione e fiducia in Dio, nel vedere come, a Lourdes, alcuni bevessero l’acqua miracolosa anche al termine della giornata e dopo tante immersioni di fedeli. Oggi sembra proprio che la salute del corpo sia più importante di quella dell’anima, la pastorale igienista ha il sopravvento su tradizioni ecclesiastiche millenarie. Povera Chiesa! Risuoni ancora il grido di Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”.
Sono buone e corrette tutte le precauzioni igieniche che la Protezione civile ha saggiamente diffuso, raccomandando di lavarsi le mani, come starnutire, di limitare i contatti anche evitando il segno della pace, ma non è il caso di arrivare al ridicolo e alla pantomima di artificiosità. Basta evitare lo scambio del gesto di pace, interiorizzando il senso cristiano dell’accoglienza e della fraternità. In una parrocchia di un quartiere residenziale di Catania, il parroco, dopo il Padre nostro, comunica che il segno della pace si fa mettendo le mani giunte e facendo un inchino al vicino di banco (come usano fare i cinesi e i giapponesi).
Una volta si tenevano le mani giunte per pregare, oggi sono pochi i sacerdoti che conservano questo gesto, che è simbolo di raccoglimento e di devozione e non viene insegnato neanche ai bambini nel catechismo. Anche la comunione nelle mani, ormai divenuta una prassi diffusa, ha perso la dimensione di sacralità quando viene distribuita alla stregua di un foglietto o di una caramella, senza la ritualità che l’importanza del gesto richiede.
Di tale pratica oggi si parla per evitare contagi e diffusione di virus, mentre nella storia della Chiesa si legge che il sacerdote distribuiva la comunione durante la peste e Raoul Follerau, apostolo dei lebbrosi, racconta di sacerdoti contagiati dalla lebbra che distribuivano la comunione senza aver mai contagiato i fedeli nell’esercizio sacerdotale. Oggi si assiste non solo all’isolamento di un intero paese, delimitato come “zona rossa”, dove i cittadini sono in quarantena, ma anche alla chiusura di una chiesa romana per paura che i visitatori delle tele del Caravaggio possano essere contagiati dal Covid-19. Quanti allarmismi, che appaiono esagerati, quanta tensione e paura che si diffondono tra la gente e che lasceranno un pesante solco per diversi anni. Il 2020 passerà alla storia per questo evento, reso ancor più terribile dalle complicanze che si sono create e dalle conseguenze che ne deriveranno.
Indicativa la riflessione di chi scrive: “Una Chiesa vera, che crede in Dio, dovrebbe pregare come nell’orto del Getsemani: ‘Signore, ti chiediamo di allontanare questo calice, ma, se questa è la tua volontà, sia fatta la Tua volontà’. Vuol dire che siamo forti per affrontare questa prova. Chiudere le chiese durante un’epidemia è un gesto che fa prevalere la scia della distruzione della civiltà cristiana, cancellando il valore dello spirito di fede”.
Nei secoli sono fioriti congregazioni e ordini religiosi con carismi ospedalieri, anche nei confronti di tutti quei soggetti che la medicina riteneva “incurabili”. Come si sarebbe comportata Madre Teresa di Calcutta? Oggi assistiamo alla consegna dei pacchi della spesa fuori dal cancello, come ai tempi della peste e, mentre si ammirano i generosi volontari, sembra quasi di ritornare indietro, e lo stesso Piero Angela è rimasto colpito da tale gesto, che indica una forte situazione di disagio umano e sociale. Che il sole di primavera purifichi l’aria e i cuori di quanti sono ottenebrati dalla coltre dell’egoismo e della paura.