DATASPORT KAPUT: IL LUPO PERDE IL PELO MA NON IL VIZIO.

Quando fare il giornalista è sinonimo di procacciatore d’affari

Era il lontano 1986 quando Datasport rivoluzionò il modo di concepire il mondo del Calcio. L’agenzia d’informazione multimediale, grazie alla grande intuizione di Sergio Angelo Chiesa, introdusse nel panorama calcistico il concetto della raccolta di dati e statistiche, diventando così pioniera di un servizio ormai insostituibile.

Se Sergio Chiesa ha beneficiato del mondo del pallone per trarne congrui profitti, chi ha contribuito in maniera pratica alla sua realizzazione ha ricevuto poco più delle briciole. Con il trascorrere del tempo e con la digitalizzazione del mondo delle statistiche i prodotti Datasport sono diventati sempre più anacronistici: gli almanacchi hanno lasciato il posto ai servizi forniti da internet, il cartaceo è stato superato dal digitale. La scarsa rapidità nel cambiamento in uno con la mancanza di prospettive della dirigenza ha destinato alla ghigliottina quello che una volta era considerato l’impero dell’imprenditore milanese, attuando licenziamenti e maltrattamenti emotivi per i lavoratori. Nel 2009 a Roma l’agenzia giornalistica Multimediale (gruppo Sergio Chiesa) ha chiuso improvvisamente i battenti lasciando a casa i 15 lavoratori[1] facenti parte del progetto. Inutili si rivelarono le battaglie delle maestranze: la comunicazione dei licenziamenti avvenuta il 17 dicembre 2008 ebbe come decorrenza il 31 dicembre successivo.

La particolarità di questa vicenda risiede nel fatto che l’intero capitale sociale della Sergio Chiesa S.r.l. venne venduto ad una non meglio identificata azienda la cui sede legale pare fosse ubicata nella Repubblica di Panama[2]. L’incarico di amministratore unico venne ereditato da un cittadino svizzero, con cui impiegati e giornalisti non riuscirono mai a mettersi in contatto. La fine della collaborazione aveva prodotto un’ondata di malcontento fra i dipendenti, i quali videro sfumare davanti ai propri occhi la certezza di un lavoro, senza ricevere il TFR oltre all’idoneità per mancanza del preavviso di cessazione del rapporto di lavoro; ferie e permessi vari.  Come nelle favole più belle, si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio e a pagare il nuovo errore imprenditoriale di Sergio Chiesa sono stati ancora una volta i lavoratori. Nel 2018 il pubblicista milanese lanciava il suo nuovo progetto “Una Persona per ogni Stadio”. La struttura di Datasport, ormai ridotta all’osso, non era però in grado di mantenere e portare avanti un progetto tanto bello quanto utopistico. Nell’immaginario del proprietario Datasport si sarebbe dovuta fornire di 310 inviati da dislocare nei vari impianti sportivi, coprendo tutti i campi dalla Serie A alla Serie D, passando anche per la Serie A femminile e le Primavere. La struttura esterna del progetto avrebbe dovuto contemplare oltre ai vari inviati anche i coordinatori di Girone: uno per ognuno di essi. Ai coordinatori era stato promesso un compenso pari a 50 euro lordi per giornata di campionato, mentre agli inviati sarebbe stata riconosciuta una diaria di 7,50 euro per ogni partita seguita – emolumenti da fame se si considera che nella quota percepita si doveva far rientrare quanto meno il carburante per recarsi e tornare dello stadio…

Il progetto, inizialmente, suscitò molto interesse: il marchio Datasport riscuoteva ancora una discreta fiducia nell’ambiente giornalistico, ed è proprio per tale ragione che molti -professionisti o aspiranti – si avvicinano a questa realtà sperando in una collaborazione con la Testata. “Ho iniziato a partecipare al progetto di Datasport dopo aver ricevuto, tramite la redazione per cui lavoro tutt’ora, una proposta di collaborazione che promuoveva il progetto UPPOS – racconta Massimiliano, giornalista professionista e Coordinatore di girone. Sicuramente il nome di Datasport era una garanzia, quindi non ho avuto grandi dubbi è ho immediatamente accettato il ruolo proposto. Nello specifico mi sarei dovuto occupare di organizzare le giornate di campionato: dall’inserimento sulla piattaforma delle probabili formazioni, alla stesura della presentazione della giornata, fino al coordinamento degli inviati appartenenti al mio girone, controllando il lavoro di quest’ultimi durante le gare. Nello specifico io coordinavo circa 14 inviati. Il compenso per questo lavoro era di 50 euro lordi, per un totale di 5/6 ore lavorative settimanali”.

Nonostante Massimiliano sia risultato essere uno dei migliori coordinatori della stagione passata, anche per lui verso metà della stagione arrivava la doccia fredda: i pagamenti per l’azienda di Sergio Chiesa non erano la priorità e di mese in mese diventavano sempre più illusori.

Io ho firmato un contratto nel quale veniva specificato che i pagamenti avrebbero dovuto essere dilazionati in più trance: ottobre, febbraio, maggio, giugno e luglio. Fino a febbraio ho ottenuto quanto dovuto, poi però tutto si è interrotto. Ancora oggi ho circa 800 euro di arretrati. Gli inviati, al contrario, non sono mai stati pagati. Neanche i primi mesi. Nonostante le varie richieste, la direzione non ha mai assolto quanto firmato nel contratto, al contrario millantava problemi con la fatturazione, che in realtà non ci sarebbero mai stati. Ho provato a parlare anche con Sergio Chiesa, ma non ha minimamente voluto ascoltare le richieste avanzate. Ricordo che quando ho chiuso la chiamata con il direttore ero molto demotivato. Credo di avere una discreta esperienza nel mondo del giornalismo e nonostante abbia avuto vari direttori particolari, una discussione con questo retrogusto amaro non mi era mai capitata. Provavo la sensazione che non avrei mai più ottenuto ciò che mi spettava. Questa triste ma esaltante esperienza è finita nel modo più doloroso…

Insomma, al peggio non c’è mai fine e in questa storiaccia, paradossalmente, il peggio non sarebbero stati solo i soldi negati o le continue menzogne e dilazioni ma il malcelato ricatto sotto forma di autofinanziamento. “Nella seconda parte della stagione 2018-2019 ci venne detto che era stata introdotta la possibilità di autofinanziarsi – aggiunge l’ex coordinatore di Datasport – ovvero che gli inviati avrebbero dovuto trovare gli sponsor pubblicitari intenzionati a collaborare con l’azienda di Chiesa. In questa maniera avrebbero potuto liquidare più rapidamente le spettanze economiche. Non eravamo più giornalisti ma procacciatori d’affari. Dispiace che una realtà trentennale come quella di Datasport si sia rivelata, alla fine, solo fumo e niente arrosto.                                                                                                                

Le parole del Coordinatore di Datasport si incupiscono in particolar modo negli intervalli in cui parla dei “propri” Inviati. Proprio loro, piccoli ingranaggi fondamentali del ciclo produttivo di Datasport, sono stati probabilmente i più danneggiati da questa dannosa avventura. Carlo, inviato nel progetto durante la stagione passata, conferma in maniera precisa tutte le dichiarazioni dell’ex collega. “In principio sono venuto a conoscenza del progetto tramite un mio amico e collega. Il marchio Datasport era per me sinonimo di sicurezza, una garanzia d’affidabilità. Il progetto era interessante, coinvolgente, sicuramente all’avanguardia; unica pecca gli almanacchi: un prodotto, secondo me, “vecchio”, non più appetibile sul mercato”.

Gli Inviati oltre a percepire una paga nettamente inferiore a quella dei Coordinatori dovevano sopperire anche ad un problema spaziale. “Molti come me avevano la fortuna di seguire la squadra della propria città, ma chi, al contrario, doveva percorrere 15, 20 o 25 km per andare allo stadio a seguire la partita con il rimborso spese ci faceva poco e nulla. In alcuni casi non arrivava a coprire neanche le spese di viaggio”.

Nonostante i compensi irrisori, ahimè sempre più usuali nel comparto dell’informazione, gli inviati hanno cercato di svolgere al meglio il proprio lavoro, sperando di percepire quanto promesso a inizio stagione. Le prime avvisaglie dei problemi interni alla realtà milanese sono arrivate nel gennaio scorso. “Tra la fine del girone d’andata e l’inizio del girone di ritorno era prevista la prima trance di pagamenti per gli Inviati – aggiunge Carlo – qualche tempo prima c’era stato chiesto anche il codice IBAN, quindi eravamo sicuri che prima o poi ci avrebbero pagati. A febbraio, attraverso il nostro coordinatore di Serie, scopriamo che c’erano stati problemi con i pagamenti, e che la dirigenza pretendeva dai suoi collaboratori pazienza e fiducia. Nello stesso periodo tutti gli inviati ricevevano una e-mail firmata dalla Redazione in cui sostanzialmente ci veniva proposto l’autofinanziamento come soluzione più veloce per riscuotere quanto dovuto attraverso gli sponsor pubblicitari. Lo sgomento era stato enorme, quasi come la disillusione di poter percepire quel piccolo stipendio che c’era stato promesso a inizio anno. Dopo quella lettera, e i primi mancati pagamenti, da quello che so, molti sono andati via. Io sono rimasto fino alla fine dell’anno, aspettando uno stipendio che è stato prima posticipato a giugno, poi a luglio e infine a dicembre 2018”.

Entrambi i giornalisti hanno sottolineato come una delle sfaccettature peggiori di questa situazione si snodi proprio intorno al fatto che una realtà affermata come Datasport si sia prestata a una sorta di ricatto occupazionale. La posizione assunta da Sergio Chiesa è risultata del tutto analoga, per quanto riguarda la sostanza più che la forma, a quella già precedentemente assunta durante la crisi del 2009 a Roma. Sembra che Datasport abbia risposto ad una pregressa ed irreversibile situazione di stagnazione economica, con il tentativo di trasformare tutti i suoi collaboratori esterni in procacciatori d’affari, in maniera più o meno diretta. Tra la stagione passata e quella attuale in molti hanno abbandonato la realtà di Datasport e molti altri ancora hanno rilevato il loro posto sperando in un futuro più roseo. Una moltitudine di lavoratori – 50 circa – aspetta ancora la liquidazione dalla stagione passata, anche se in realtà, i giornalisti non nutrono più alcuna speranza in merito alla buona risoluzione della controversia.

La realtà di Datasport sembra precipitare, incapace di rispondere positivamente al dinamismo delle nuove sfide digitali e invece di accettare la meritata “pensione”, l’agenzia di comunicazione multimediale pare trascinare in un vortice di comune decadenza tutti i lavoratori coinvolti. Che peccato.

[1] www.fnsi.it/agenzia-giornalistica-multimediale-gruppo-sergio-chiesa-i-lavoratori-contro-il-licenziamento-del-personale-della-sede-di-roma

[2] www.fnsi.it/agenzia-giornalistica-multimediale-gruppo-sergio-chiesa-i-lavoratori-contro-il-licenziamento-del-personale-della-sede-di-roma

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