Le forti tensioni familiari e la dipendenza dalla droga hanno trasformato in patricida un giovane che davanti al giudice afferma di non valere più nulla:” Ho paura di mio figlio”, aveva detto Umberto agli amici. E aveva ragione.
CAVERNAGO (Bergamo) – I rapporti fra genitori e figli stanno degenerando e nell’ultimo decennio, stimano gli esperti, le tensioni sono aumentate specie dopo la pandemia. Stavolta a farne le spese è stato un padre, Umberto Gaibotti, 64 anni, carpentiere, ammazzato a coltellate lo scorso 4 agosto, intorno all’ora di pranzo, dopo una lite furiosa con il figlio Federico di 30 anni. Il giovane al culmine dell’ennesimo alterco avrebbe afferrato un acuminato coltello da cucina con il quale avrebbe sferrato una serie di micidiali fendenti contro il padre che tentava, inutilmente, di difendersi e rabbonire il giovane ormai fuori controllo.
Colpito a morte l’uomo stramazzava sul prato del giardino di casa, dove si era rifugiato per sfuggire alla furia omicida del figlio, in un lago di sangue. Il movente è quasi sempre lo stesso: i soldi per comprare la droga. La vittima con Federico vivevano a Villa Lina, una palazzina ubicata in via Giuseppe Verdi 7, a Cavernago, da molti anni proprietà di famiglia. Il carpentiere si era separato dalla moglie Cristina anni fa e la donna si era trasferita a Seriate con l’altro figlio, Michele, di 40 anni.
Federico aveva risentito della grave situazione e aveva trovato negli stupefacenti la più assurda delle soluzioni al suo disagio esistenziale. Il giovane aveva tentato di uscirne entrando in comunità ma pare che ogni terapia fosse risultata vana tanto che l’aggressività del presunto assassino aveva raggiunto i massimi livelli costringendolo anche ad abbandonare il suo lavoro di tatuatore a Martinengo. Di contro il padre aveva cercato sempre di aiutarlo. Sino a luglio scorso quando Federico era stato condannato per direttissima a sei mesi di carcere, pena sospesa, per tentata violazione di domicilio in danno della madre nella cui abitazione aveva tentato di entrare con la forza oltre a lesione e resistenza alla forza pubblica.
In quell’occasione era rimasto ferito un carabiniere. Il giovane, assistito dall’avvocato Pietro Ferrari, aveva scritto una lettera di scuse a mamma Cristina che, però, non ritirava la querela, probabilmente stanca dalle false promesse del figlio. Federico aveva poi scritto una lettera di scuse al carabiniere promettendogli 250 euro di risarcimento. La somma era stata versata dalla vittima in favore di quel figlio degenere che gli procurava un sacco di problemi:
”E’ sempre mio figlio – aveva detto Umberto agli amici – non posso abbandonarlo”. Sul giovane, però, rimane pendente il giudizio perché la difesa si era appellata a quella sentenza con pena sospesa. Nel frattempo Federico aveva abbandonato la comunità e non faceva altro che chiedere soldi al padre per acquistare la droga. Non passava giorno che in casa non ci fossero litigi e violente discussioni. Sino a quel maledetto 4 agosto quando padre e figlio, come testimoniano i vicini, avevano ricominciato a litigare perché Umberto pare non intendesse sborsare più un euro per quel veleno che il figlio assumeva in cospicue quantità.
La ricostruzione dei fatti la fa lo stesso Federico davanti al Gip Vito Di Vita che ha convalidato l’arresto e la restrizione in carcere confermando l’accusa di omicidio volontario contestata all’indagato, difeso d’ufficio dall’avvocato Miriam Asperti, dal Pm Laura Cocucci:
”Avevamo litigato sempre per le stesse cose – avrebbe riferito il giovane – sono una nullità, adesso non valgo più niente…”. L’indagato, a suo dire ubriaco ma non sotto l’effetto di stupefacenti, avrebbe atteso il padre in casa il quale, appena rientrato, si sarebbe visto aggredito dal figlio con la solita, violenta, richiesta di soldi. Al netto rifiuto del genitore il giovane, coltello in pugno, avrebbe colpito l’uomo con sei fendenti. I primi inferti all’interno della villa, gli ultimi sferrati nel giardino di casa dove il pover’uomo aveva tentato di scampare alla morte.
I carabinieri, avvisati dai vicini, accorrevano in via Verdi praticamente sorprendendo l’indagato in flagranza di reato. Il Ris ritroverà l’arma del delitto ed altri due coltelli. Le indagini proseguono per accertare il ruolo di una donna, amica di Federico, presente in casa durante la tragedia e che sarebbe andata via a bordo di una Bmw per poi essere colta da malore e soccorsa.