Dalle televendite agli incontri a luci rosse a base di droga e champagne

E’ passato solo qualche anno dallo scandalo delle notti di sesso, droga ed eccessi di Terrazza Sentimento, l’abitazione di Alberto Genovese poi incriminato e condannato. Oggi c’è Stefania Nobile & Company. Perché una certa Milano bene non può fare a meno di emozioni forti.

Milano – In questi casi c’è il fuggi fuggi generale quando arriva la polizia. Cosi com’era per le bische, quando i patiti del gioco d’azzardo venivano sorpresi dalla Mobile in flagranza di reato. Gli indagati rimangono i gestori del malaffare del momento, gli organizzatori di macchine mangiasoldi che fruttano milioni di euro. E la Nobile, figlia d’arte, ne sa qualcosa e si muove con destrezza in certi ambienti dove il vizio fa girare danaro per cifre da capogiro che sfuggono a qualsiasi controllo. Altro che nero dell’idraulico o della dittarella di pittori e muratori.

La gintoneria di Milano

E tutti sapevano, e tutti sanno ma deve arrivare la questura, in questo ultimo caso la Finanza, per fare scoppiare lo scandalo che poi tanto scandalo, in fin dei conti, non è. Per il semplice fatto che, e lo ripeto, tutti sapevano, tutti sanno. Come si sapeva per Genovese ed il suo giro di droga, sesso, ragazzine e fiumi di champagne a due passi dal Duomo. Ora, come allora, sarà la magistratura a decidere chi ha colpe e chi no e speriamo che sia la verità reale ad avere la meglio e non sempre quella giudiziaria che, spesso, lascia fuori dalle sbarre personaggi che dovrebbero rimanervi dietro a vita. Sporchi come sono forse più di quelli beccati con le mani nella marmellata. Mi sono sempre chiesto infatti se chi si faceva raggirare e/o truffare ai tempi delle televendite di Wanna Marchi fosse meno colpevole di quella donna che, urlando, ti riempiva di creme, rituali magici e polverine, togliendoti dalle tasche cento euro a botta, e doveva andarti bene.

Terrazza Sentimento a due passi dal Duomo

La stessa cosa accade in questi bordelli cittadini dove ci sono persone che, in una sera, sono capaci di spendere il reddito annuo di decine e decine di operai. Magari spinti a tirare fuori il portafogli da chi, in qualche ora, riesce a svuotargli il conto corrente. Per carità tutto lecito, se girassero, assieme ai soldi, fatture di acquisto e vendita cosi come debbono tutti i contribuenti. I clienti di certi casini metropolitani non possono passarla sempre liscia. Come si sa quanto hanno speso, alla stessa maniera si dovrà accertare dove hanno preso i soldi. Come vivono e se sono in regola con il Fisco, lo stesso Fisco che chiede numi al pensionato quando quest’ultimo incassa un centinaio di euro extra, magari senza dichiararlo. Se c’é nero, e in questi casi ce n’è tanto, deve spuntare fuori dalle tasche di tutti: clienti facoltosi e maitresse, fornitori e maneggioni, procacciatori di affari e papponi. Insomma bisogna andare giù pesanti, pelo e contropelo su documenti contabili e risorse finanziarie. Sennò la prossima volta si parlerà sempre delle stesse cose, di quelle che non cambieranno mai.

Ricordo la volta che incontrai Wanna Marchi, nel gennaio del 2008 a Carpi, nel Reggiano. Due mesi dopo, il 27 marzo, veniva confermata in Appello la sentenza di primo grado che vedeva condannati la venditrice televisiva di Castel Guelfo di Bologna a 9 anni e 6 mesi di reclusione, a 9 anni e 4 mesi la figlia Stefania e a 3 anni per Francesco Campanapochi. Il 4 marzo del 2009 la Cassazione confermava i verdetti di secondo grado in via definitiva. Lo scandalo era già scoppiato da tempo e la verace ciarlatana, di creme dimagranti farlocche prima e di inutili amuleti e polveri magiche dopo, aveva già patito l’umiliazione del carcere e aveva assistito impotente al sequestro dei suoi beni e di tutte le sue attività commerciali.

Il trio micidiale

Mentre salivo le scale di un centro di bellezza nuovo di pacca, sento gridare una donna. Mi avvicino alla porta d’ingresso e riconosco la sua voce. E’ Wanna Marchi. E’ la più famosa teleimbonitrice d’Italia che sbraita al telefono offrendo la propria disponibilità per l’ultima intervista in esclusiva presso una radio romana. Busso e attendo. Apre la porta con una mano mentre con l’altra tiene il cellulare appiccicato all’orecchio. Quando mi presento come giornalista chiude la conversazione di botto. Prego entri, mi dice con il suo sorriso accattivante, si accomodi. Si segga pure dove le pare. Prende un caffè?… E’ proprio come me l’aspettavo. Anzi è sempre la stessa. Nemmeno una ruga in più. E’ vestita da manager con un tailleur nero su cui fa pendant una camicia bianca con il colletto ampio. I suoi capelli rossi sono veri. Non tinti come da anni malignavano i suoi detrattori. Capelli veraci color fuoco. Come il suo carattere irruento e irrequieto. Di una donna che ha lavorato anche diciotto ore al giorno per intere settimane. Quando Wanna Marchi era Wanna Marchi:

”…Egregio signore, lei che viene da Catania – esordisce Marchi con quel tono che è quasi un gridolino – ma sa quanti soldi ho lasciato nella sua città? Quando le cose andavano bene avevo molti amici e non c’era giorno che non ricevessi inviti a destra e a manca. Adesso tutti si sono dimenticati di me anche chi si è arricchito alle mie spalle. Mi sono spiegata?…”.

Mi parla a ruota libera di televendite milionarie se non miliardarie. Di soldi pagati per pizzo e mazzette. Di bustarelle per imprenditori e proprietari di radio e tv. Di pranzi, cene, divertimenti e allegre brigate. Quando Wanna era Wanna, un animale televisivo da prendere o lasciare. Un pozzo di San Patrizio in cui molti hanno attinto, anche a dismisura, giocando spesso sporco. E Wanna lo sa, e lo dice senza peli sulla lingua:

”…Mi hanno dato addosso come se fossi Totò Riina – aggiunge Marchi con gli occhi lucidi – mi hanno trattata come l’ultima delle delinquenti trascinandomi davanti a testimoni che nemmeno conoscevo. A persone che avrebbero preteso risarcimenti da capogiro a fronte di cento-duecento mila lire spese per le scimmiottate del mago brasiliano. Si, è vero, mi sono lasciata prendere la mano ma non per miliardi e miliardi… Pensi che una signora mi aveva denunciata dicendo al PM del tribunale di Milano che le avevo fregato trecento milioni di vecchie lire. Aveva ricevute per trecentomila lire ma quando il giudice le chiese di dimostrare la cifra residua, quella donna, una brutta settantenne, disse che non poteva mostrare altre pezze d’appoggio perché le aveva distrutte. Perché per pagare Wanna Marchi era stata costretta a prostituirsi e non voleva che il marito, ottantenne, lo venisse a sapere! Queste cose sconvolgenti sono agli atti. Ne hanno dette di tutti i colori e di più…”.

Gli occhi lucidi si trasformano presto in un pianto dirotto. Un pianto autentico che non deve vendere a nessuno. Siamo soli nella saletta d’attesa mentre la sua inseparabile segretaria e due dipendenti scivolano via, nascondendosi in ufficio. Wanna non vuole che la vedano così. Non vuole mostrarsi in lagrime come una ragazzina sprovveduta. Lei è ancora Wanna Marchi ma non è di ferro:

”…Quando sono venuti a casa mia durante i domiciliari non hanno perso occasione per umiliarmi ancora – racconta la bidonista Doc con il fazzoletto ormai bagnato di lagrime – hanno controllato persino dentro le vagine di pecore e capre nel tentativo di scoprire altri nascondiggli per la refurtiva. Soldi e soldi e soldi che, ovviamente, non hanno trovato. A San Vittore stavo meglio e tutti mi rispettavano. Quante persone innocenti ci sono a San Vittore, egregio signore…”.

Della figlia Stefania, la più odiata nella vicenda giudiziaria, non parla affatto. Accenna solo alle sue precarie condizioni di salute. Sarà vero? Sono in molti quelli che la vorrebbero morta ma, per adesso, si debbono accontentare delle condanne e sperare nei risarcimenti. Wanna Marchi annuncia anche la stesura di un libro-memoriale e la partecipazione presso un noto net-work radiofonico capitolino con la rubrica “Marchi Contraffatti”. Insomma si da da fare, perché la vita continua. Anche per lei:

”…Hanno arrestato anche il mio compagno che non c’entrava nulla – conclude Wanna Marchi mentre si rifà il trucco per le foto – non aveva mai messo piede in azienda e non conosceva nessuno. Via, anche lui in galera come se fosse il Provenzano della situazione. E poi Striscia la Notizia con la sua persecuzione quotidiana… Qualcuno non mi ha mai perdonato quel rifiuto e, potente com’è, me l’ha fatta pagare. E amaramente… Non sono mai stata una ingenua e magari avremo strafatto illudendo qualche persona come fanno tutti in tv. Ma tra questo e la truffa da mille milioni di euro ce ne corre. Ho ancora nelle orecchie le parole di quel giovane pubblico ministero: la debbo distruggere, non ne deve rimanere traccia!… Invece eccomi qui a lavorare come dipendente perché se non lavoro non mangio. Strano per una delinquente incallita e ricchissima come me. Comunque facciamo passare il tempo che ci vuole poi la Wanna parlerà e dirà tutta la verità. Qualcuno può incominciare sin da adesso a non dormire più sonni tranquilli. Politici, imprenditori e lacchè… Tutti insieme appassionatamente e sempre in vendita, al prezzo che volete. D’accordo!…”.

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