Sono circa 1880 le strutture, ma l’ultima indagine risale al 2019. Già allora, il numero era inferiore del 60% a quanto stabilisce la legge.
Roma – I consultori, questi desaparecidos! Sono trascorsi quasi 50 anni quando nella società italiana fecero capolino. La loro storia è strettamente connessa ai movimenti femminili, all’attività del Partito Radicale e al ruolo assunto dalla donna nella famiglia e fuori di essa. In questo contesto fu approvata la Legge 405/1975, che ha istituito i consultori familiari, una novità assoluta per una società che su questo punto mostrava chiari segni di arretratezza. I consultori sono servizi sociosanitari integrati di base, con competenze multidisciplinari, determinanti per la promozione e la prevenzione nell’ambito della salute della donna, dell’età evolutiva, dell’adolescenza e delle relazioni di coppia e familiari. Com’è consuetudine la loro diffusione sul territorio nazionale si è realizzata con tempi e modalità diversi. Sono gestiti dalle Regioni grazie alle Aziende Sanitarie, quindi si tratta di un servizio pubblico che rientra nelle prestazioni del Servizio sanitario nazionale. Esistono anche consultori familiari privati accreditati che offrono le stesse prestazioni.
Ora quello che è stato un servizio innovativo fatto di visite, screening e consulenze gratuite sta scomparendo a causa di sedi fatiscenti e di personale che scarseggia. Sono circa 1880 i consultori in Italia, però il numero è vago, nel senso che l’ultima indagine effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità su quelli che sono dei veri e propri presidi sanitari risale al 2018-2019. Già allora, il numero dei consultori era di circa il 60% inferiore di quanto stabilito dalla Legge secondo cui doveva essercene uno per ogni 20 mila abitanti. Ma il nostro Paese è abituato ad emanare leggi e, al contempo, disattenderle considerandole carta straccia. Solo in tre Regioni, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Umbria, rispettano i requisiti legislativi. Ma, secondo gli esperti il numero scenderà ancora.
Negli anni il consultorio è diventato una casa svuotata delle sue stanze, di cui è rimasto solo lo scheletro. Eppure offre ogni giorno che dio manda in terra un servizio essenziale per donne, minori e famiglie. L’immaginario collettivo lo reputa un luogo d’antan, con pareti malmesse e porte chiuse. E, in effetti, non si è molto lontani dal vero, perché le sedi, nel tempo, sono state relegate in spazi angusti, ristretti. Raramente viene effettuata la manutenzione e poiché gli spazi sono ridotti, è facile trovare, ad esempio, una accanto all’altra, una donna in procinto di interrompere la gravidanza ed un’altra per seguire il corso di allattamento. Eppure, nonstante siano ridotti in condizioni precarie, continuano, ancora, a garantire, prestazioni sanitarie gratuite anche agli stranieri presenti. Si va dalla prevenzione oncologica tramite lo screening del seno e dell’utero all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), fino all’assistenza psicologica per le vittime di violenza.
Purtroppo i professionisti che vi lavorano sono sempre di meno con svantaggi evidenti per gli utenti. Dovunque accade che alcuni consultori vengano unificati in un’unica struttura senza che il personale cresca. Si incrementa la domanda ma decresce l’offerta. E’ triste constatarlo, ma è la nuda e cruda cronaca che si svolge sotto i nostri occhi. Stiamo assistendo alla devastazione e depredazione di uno dei fiori all’occhiello della società italiana: il servizio sanitario nazionale a carattere “universalistico”, sorto nel 1978, frutto di un fermento sociale e culturale in cui i diritti sociali e individuali avevano priorità assoluta. Lo scempio si sta realizzando lentamente, ma con ferocia e determinazione, a svantaggio della maggioranza della popolazione e a vantaggio dei grandi gruppi sanitari privati.