Il parere storico dell’Aja stabilisce che i Paesi responsabili del cambiamento climatico devono riparare e compensare i danni subiti dagli Stati più vulnerabili.
Secondo la Corte internazionale gli Stati che provocano danni al clima sono costretti a ripararli e a risarcire i danni. Il 23 luglio 2025 la Corte Internazionale di Giustizia ha pubblicato il suo parere consultivo sul cambiamento climatico, richiesto due anni fa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite su denuncia dello Stato insulare di Vanuatu, nel Sud Pacifico. Ebbene, secondo il parere espresso, gli Stati se violano il diritto internazionale non opponendosi al cambiamento climatico, sono tenuti a ricompensare quelli danneggiati dalle loro azioni.
La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. È responsabile di risolvere le controversie legali tra gli Stati membri delle Nazioni Unite e di fornire pareri consultivi su questioni giuridiche sollevate da organi e agenzie autorizzati delle Nazioni Unite. E’ una considerazione importante perché può essere usata come strumento da altri Paesi per diminuire le emissioni del gas serra, considerato uno dei motivi alla base del cambiamento climatico.
Per quanto riguarda la violazione del diritto internazionale, secondo la Corte, ci sono tanti trattati che obbligano i Paesi firmatari a rispettare gli obblighi assunti per contrastare le emissioni dei gas serra, basti citare il più noto, “l’Accordo di Parigi”, del 2015. Inoltre, questa è una priorità delle economie sviluppate, poiché provvisti di più risorse finanziarie. Gli Stati inadempienti, una volta provata la loro responsabilità, sono tenuti a risarcire i danni provocati. I giudici hanno ritenuto che la mancanza di strumenti atti a prevenire il cambiamento climatico, può considerarsi un illecito internazionale. In generale nel diritto i pareri consultivi non producono effetti pratici, però fanno giurisprudenza.

In concreto non succede alcunché, ma possono essere un punto di riferimento autorevole delle norme internazionali, per ispirare altre sentenze. Questo può succedere quando ci sono norme nazionali che non dirimono la questione e ci si deve appoggiare a quelle internazionali. Qualcosa, comunque, inizia a muoversi. Qualche settimana fa la Corte di Cassazione italiana ha sancito che è possibile portare aziende inquinanti, come l’ENI, l’azienda italiana più importante nel settore energetico, in tribunale per chiedere giustizia climatica. In questo caso è stata presa in considerazione una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che ha riconosciuto la protezione dei diritti umani legati alla crisi climatica. La Cassazione ha preso spunto da una sentenza del 2024 della CEDU su una denuncia di un’associazione femminile svizzera nei confronti del proprio Paese.

La CEDU, come summenzionato, ha considerato violazione del diritto internazionale la carenza di strumenti di difesa contro il cambiamento climatico. Il parere della Corte di Giustizia Internazionale, invece, si riferisce ai rapporti tra Stati. In questo senso potrebbe essere un’arma efficace che i Paesi in via di sviluppo possono utilizzare verso i Paesi sviluppati, chiedendo di adoperarsi in modo più efficace contro il cambiamento climatico e di essere risarciti per i danni causati. E’ chiaro che non bastano solo i risarcimenti per risolvere il problema, ma bisogna incentivare l’attivismo politico delle popolazioni e delle autorità costitutive per compiere atti efficaci. La storia passata e recente non spinge all’ottimismo, perché, finora, chi è stato più potente ha sempre avuto la meglio sugli altri, calpestando diritti e valori umani!