Il terribile omicidio è rimasto insoluto ma chi avrebbe potuto ucciderla? E perché? Un congiunto o un signorotto locale? Un venditore di biancheria intima che imprecò contro la giovane augurandole di non sposarsi mai? In galera finirà il promesso sposo della giovane Ugo Ancillotti, prosciolto anche in Appello. L’uomo è morto nel 2013 portandosi nella tomba ciò che forse non aveva riferito agli inquirenti.
Palaia – È stato uno dei primi casi di femminicidio del dopoguerra repubblicano. Dal 1945 in poi ce n’erano stati tanti altri ma siccome le vittime erano donne dai 12 anni in su, presunte filofasciste, nessuno ne ha più onorato la memoria tranne il noto giornalista Giampaolo Pansa nel suo libro “Il Sangue dei Vinti”.
Quello di Elvira Orlandini, nata a Toiano nel 1925 e morta ammazzata nelle vicinanze di casa il 5 giugno del 1947, è rimasto un aberrante femminicidio per di più senza colpevole. Insomma una sconfitta per la giustizia che non è riuscita a dare un nome ad un assassino che, forse, in molti conoscevano.
La tragica vicenda ebbe inizio ad un mese dalla strage di Portella della Ginestra, in Sicilia, ad opera di Salvatore Giuliano ed altri personaggi rimasti impuniti. Impunito come chi aveva tagliato la gola alla bella Elvira, nel bosco delle Purghe di Toiano, nella giornata in cui nel borgo si celebrava la processione del Corpus Domini. Elvira Orlandini usciva di casa con un catino di metallo che avrebbe dovuto riempiere alla vicina fonte del Botro della Lupa.
La giovane, simpatica e gioviale oltre che molto attraente, era contenta di dare una mano alla famiglia anche perché, qualche settimana più tardi, sarebbe convolata a nozze con Ugo Ancillotti, un giovane dal carattere schivo ex reduce di guerra.
Elvira sparisce nel nulla e con lei brocca e asciugamani di iuta. Intorno alle 16, dello stesso giorno, la ritroverà cadavere il padre Antonio, vicino al canale di scolo, ad una trentina di metri dalla sterrata che attraversa il bosco. La ragazza di 22 anni sarebbe deceduta, dopo una breve agonia, per asfissia polmonare provocata dal suo stesso sangue a seguito di una ferita da taglio profonda che le aveva lacerato la gola da parte a parte.
Una ferita provocata con estrema violenza, probabilmente da un coltello a serramanico, a cui sarebbero seguiti altri fendenti al capo quando Elvira era già morta davanti al suo carnefice, che si preoccupava di spostare il corpo senza vita della vittima di poche decine di metri forse per meglio occultarlo, se ne avesse avuto il tempo.
Intorno al cadavere solo silenzio e muovere di foglie. Non ci sono testimoni, nessuno ha visto nulla. L’assassino si era portato con se un trofeo: le mutandine di Elvira. Non si troveranno mai l’arma del delitto e l’asciugamano che la poveretta aveva con sé. I carabinieri avviano le indagini e ritengono di aver messo le mani sul colpevole: Ugo Ancillotti, promesso sposo di Elvira.
Gli “indizi” sarebbero già prove per i militari: l’uomo sarebbe giunto sul luogo del delitto senza che nessuno glielo avesse indicato e sui suoi pantaloni ci sono tracce di sangue assai sospette. Il movente? Non ci sono dubbi: le liti fra i due giovani che si sarebbero lasciati più volte ovvero la gelosia di lui. Due notti in guardina serviranno a far vuotare il sacco al contadino rancoroso che confesserà. Letto, confermato e sottoscritto. Macché. I carabinieri avevano preso un granchio colossale ma Ancillotti (morto a 91 anni il 30 marzo 2013 portandosi appresso segreti e verità), rimarrà in carcere quasi due anni gridando la sua innocenza.
Da Pisa il processo si sposta a Firenze per legittima suspicione e a difesa del recluso scende in campo anche la politica nazionale e larga parte della carta stampata. Le udienze si susseguono come le perizie basate sulle intimità della giovane, ovvero la data della perdita della verginità e la regolarità del suo ciclo mestruale. Assurdità giudiziarie che non serviranno se non a generare confusione, come se non ce ne fosse già abbastanza. Alla fine del dibattimento la procura chiede una condanna a 18 anni. Ancillotti verrà assolto per insufficienza di prove. Nessuno degli inquirenti aveva approfondito una presunta relazione di Elvira con un uomo sposato.
Chi poteva essere quell’uomo? Un congiunto o un signorotto locale? Un venditore di biancheria intima che imprecò contro la giovane augurandole di non sposarsi mai? Di Elvira rimane il suo fantasma. Che invoca giustizia.