Dopo l’inchiesta e due gradi di giudizio l’unico sospettato è stato prosciolto, con formula dubitativa ma in via definitiva, dall’accusa di omicidio premeditato.
Brescia – Soffocata mentre dormiva nel suo letto e poi adagiata sulla poltrona per depistare le indagini? L’inchiesta sulla morte di Diva Borin, 86 anni, pensionata benestante, residente al secondo piano di via Marino Ballini 6, nel centro del quartiere di Urago Mella, nonostante gli sforzi della Procura e due processi, non ha portato a nulla dunque l’omicidio rimane insoluto. A trovarla esanime, il 2 marzo del 2019, erano stati una vicina di casa e un dipendente di un supermarket, Salvatore Spina, 37 anni all’epoca dei fatti, badante tuttofare che aiutava la donna nelle sue incombenze quotidiane e che le era diventato amico ed erede.
L’uomo, una volta aperta la porta di casa, aveva notato qualcosa che non andava ed avvicinandosi alla camera da letto faceva la macabra scoperta. Diva Borin era morta da diverse ore (accerterà poi il medico legale durante l’autopsia) e si trovava sdraiata sulla poltrona con evidenti segni di strangolamento sul collo mentre il suo letto sembrava appena rifatto. La porta d’ingresso pare non presentasse segni di effrazione dunque l’assassino si sarebbe introdotto dentro l’appartamento aprendo l’uscio con le chiavi.

L’ipotesi di più persone partecipanti al delitto scaturiva dal fatto che l’anziana pensionata potrebbe essere stata prima soffocata, tenendo tappati bocca e naso, e poi finita con un foulard di seta, sequestrato dalla polizia. Chi ha ucciso la donna lo avrebbe fatto a mani nude e forse premeditando l’evento delittuoso. Gli inquirenti, al tempo coordinati dal sostituto procuratore Antonio Bassolino, avevano interrogato parenti e amici senza rilevare nulla di importante. Fra questi il nipote Cristian con cui la vittima avrebbe più volte litigato ma dopo i passati screzi per futili motivi fra i due congiunti pare fosse tornato il sereno. A detta dei vicini, infatti, nonna e nipote si erano riconciliati.
Stessa cosa per Salvatore che, a detta di tutti, era considerato da Diva, vedova ormai da molti anni, come un figlio in ricordo del suo amatissimo ragazzo morto in un tragico incidente stradale nel 1993. Entrambi i sospettati dell’epoca si erano dichiarati estranei ai fatti. Le attività investigative proseguirono con il controllo del conto corrente (in cui erano depositati poco più di 30mila euro) e dei risparmi della vittima oltre alla verifica del testamento olografo della Borin che la donna, stranamente, avrebbe modificato per tre volte relativamente alle percentuali dei beni mobili e immobili da destinare ai beneficiari delle sue ultime volontà.
Gli investigatori avrebbero accertato inoltre come la donna, nell’ultima trascrizione testamentaria, avesse ripartito i propri beni devolvendoli al 70% in favore del badante ed il rimanente 30% a vantaggio del nipote. Nel primo testamento, invece, l’erede designata sarebbe stata un’altra nipote che viveva in Piemonte mentre nel secondo lascito tutti i beni sarebbero andati a Christian.
L’immobile di via Ballini, di contro, una volta defunta la donna, sarebbe diventato di proprietà, in parte uguali, dei due unici beneficiari nonostante il nipote Cristian pare avesse dichiarato di rifiutare la sua parte come aveva già fatto con l’eredità del nonno, ovvero il defunto marito di Diva.

Per di più la pensionata era la contraente di una polizza assicurativa sulla vita che si sarebbe resa efficace a partire dalla fine di febbraio 2019, ovvero pochi giorni prima della sua morte. Nella casa della vittima la polizia aveva rilevato numerose impronte digitali che appartenevano a nipote e badante ma pare anche ad altre persone. L’anziana era una donna buona e generosa, diceva chi la conosceva bene, ma forse si fidava troppo delle persone sbagliate. Prima di essere ammazzata Diva avrebbe avuto l’idea di assumere un’altra badante con l’intenzione di intestarle parte dei beni trascritti nell’ultimo legato. Ma questo particolare non sarebbe mai stato confermato, anzi addirittura smentito dalla difesa di Salvatore Spina.
La sua scomparsa dunque rimane legata, quasi esclusivamente, ad un movente economico perché non ci sarebbero stati altri elementi in grado di dirigere altrove le indagini. Chi si è introdotto in casa della donna conosceva bene orari e abitudini. Probabilmente strozzata nel sonno Diva Borin potrebbe non essersi accorta di nulla.
Dopo alcune settimane Salvatore Spina veniva arrestato con l’accusa omicidio con l’aggravante della premeditazione e dei motivi abietti. L’uomo, rimasto a piede libero e che si è sempre professato innocente, veniva assolto in primo grado, usufruendo del rito abbreviato, con formula piena nonostante il Pm avesse chiesto una condanna a 14 anni e 4 mesi di carcere. Durante il dibattimento la difesa di Spina, affidata all’avvocato Giacomo Nodari, aveva chiarito alcuni punti essenziali per un eventuale proseguo dell’inchiesta.
Sulla presunta arma del delitto, un foulard di seta poi stretto al collo della vittima, non era stato repertato il Dna di Spina ma quello di un altro uomo mai identificato. Per il penalista anche il movente economico sarebbe stato claudicante poichè il suo assistito non avrebbe avuto problemi di soldi. Stessa cosa per quanto riguarda la nuova badante; la signora Borin non avrebbe avuto alcuna intenzione di assumere una nuova badante nè di renderla destinataria dell’eredità della donna, anche in parte.

Nel successivo processo di Appello, a seguito di ricorso della Procura generale, conclusosi l’anno scorso, Salvatore Spina incassava una seconda assoluzione, seppur con formula “dubitativa“. Il sostituto Pg Cristina Bertotti aveva confermato le accuse precedentemente formulate dal Pm Bassolino e puntava il dito su Spina quale esecutore materiale del delitto. E lo avrebbe consumato, continuava la requirente, per evitare il rischio che la Borin cambiasse per la terza volta le disposizioni del lascito lasciandolo a bocca asciutta.
Fra gli altri dubbi espressi dai giudicanti di secondo grado, che riguardano espressamente il movente economico, ce n’è uno assai importante e inerente il comportamento di Spina poco dopo il ritrovamento del cadavere:
“Di notevole peso – si legge in atti – è il comportamento tenuto dall’imputato la mattina del 2 marzo 2019, quando fu rinvenuta la salma…Oltre alla singolarità dell’aver richiesto la presenza di un’altra signora (che non era stata contattata prima per telefono come riferiva Spina) laddove la preoccupazioni per le temute condizioni di salute di Diva Borin avrebbero imposto massima celerità, ciò che soprattutto rileva è il gesto immediatamente compiuto da Spina, non appena fatto accesso in casa della vittima, di slacciare il foulard che cingeva il collo della signora...Il suo avvenuto decesso era evidente per chiunque…Diviene allora naturale pensare che si sia trattato di un gesto effettuato al fine di predisporre una spiegazione plausibile all’eventuale presenza di sue impronte sul foulard nel corso delle indagini: sul punto può anche ritenersi del tutto corretta l’osservazione del Pm appellante, secondo cui, una volta accertato pacificamente l’avvenuto contatto in quel frangente (sciogliendo il nodo) tra le mani dell’imputato e l’indumento in questione, del tutto neutro deve ritenersi il fatto che le indagini tecniche non abbiano consentito di rilevare sue impronte su di esso: se pacificamente il contatto successivo al rinvenimento del corpo non ha lasciato tracce di sé, altrettanto può essere avvenuto con quello (seguendo l’ipotesi accusatoria) verificatosi nel momento dell’omicidio…“.

Poi ci sarebbero alcune perizie medico-legali che hanno giocato un ruolo fondamentale nell’assoluzione di Spina, soprattutto in primo grado. Le relazioni dei camici bianchi avrebbero negato la possibilità del decesso antecedente alle ore 23 dell’1 marzo 2019, orario contestato a Spina dagli inquirenti. Poichè l’anziana sarebbe stata ammazzata intorno alle 3 di notte quando l’uomo era già distante da via Ballini dove si era recato per far visita alla vittima la sera prima del rinvenimento della salma. Ferme rimanendo le diverse discrepanze nella ricostruzione dei fatti ad opera dell’allora imputato e già al tempo contestate dagli investigatori, il collegio giudicante di secondo grado cosi chiosava in motivazioni:
“Ad avviso della Corte ci si trova al cospetto di un caso di contradditorietà della prova, poiché a carico dello Spina sussistono una serie di elementi indiziari che, valutati nel loro insieme, sarebbero stati senz’alto idonei ad indicarlo quale autore dell’omicidio per cui si procede (non potendosi affatto condividere la svalutazione degli stessi operata dal primo giudice) ma al tempo stesso a suo favore milita il dato relativo all’orario della morte della vittima, quale emergente, con un buon grado di probabilità, dal complesso delle valutazioni operate dai vari esperti“.
In poche parole per l’accusa di primo e secondo grado Spina avrebbe ucciso per interesse economico ovvero per ereditare i beni della vittima, 60 mila euro e il 50% dell’immobile prima che la donna, forse, potesse ripensarci.
Comunque stiano le cose l’assoluzione di Salvatore Spina è ormai definitiva poichè la Procura Generale non ha ritenuto di procedere in avverso alla sentenza d’Appello:” È la fine di un incubo. Se la sono presa con me solo perché ero l’erede” – aveva detto il badante subito dopo il verdetto. L’assassino della povera Diva, stante le risultanze dei due processi e nonostante le perplessità, è ancora uccel di bosco.