Questa tipologia di manifestazioni, molto spesso “condite” con gastronomia e vini locali, sono tornate in auge e tengono banco specie nei fine settimana.
Le sagre di paese sfidano l’usura del tempo. Quasi da non crederci, mentre il mondo viaggia a velocità della luce e l’Intelligenza Artificiale (IA) sta estendendo i suoi tentacoli in ogni ambito della vita a mostrarci le sue virtù miracolose, una notizia ha diffuso qualche seme di speranza. Ovvero che la socialità, il senso di comunità resiste alla piega individualistica dei nostri tempi.
Mentre ci si sfida coi selfie, manifestando uno zelo inconsueto e video di qualsiasi genere, le care vecchie sagre di paese restano lì, incrollabili a ribadire il loro posto nel mondo. Si tratta di feste popolari di carattere locale che affondano le proprie radici nelle tradizioni del territorio. Si svolgono, in genere, annualmente e hanno origine da una festa religiosa, celebrata in occasione di una consacrazione o per commemorare un santo, ma anche utilizzata per festeggiare il raccolto o promuovere un prodotto enogastronomico locale. Il termine affonda le proprie radici nel latino “sacrum,” (sacro) a conferma dell’importanza religiosa che queste manifestazioni avevano in passato. In origine, le sagre erano eventi celebrativi legati alle divinità, dove il cibo veniva offerto agli dèi in segno di gratitudine.
Oggi, forse, è andata esaurendosi l’antica solennità dell’evento, ma comunque resta viva la voglia di degustare i prodotti enogastronomici locali, di stare insieme e di passeggiare tra le bancarelle con esposti tipici manufatti artigianali. E un modo altro per esprimere il senso di comunità, quasi silenzioso rispetto al rumoroso mondo dominato dalla tecnologia. Eppure è diffuso su tutto il territorio nazionale, dalle Alpi fino alle isole del Sud. Nel corso dei decenni, poi, le sagre si sono moltiplicate, in quanto si sono, parzialmente distaccate dall’originario fervore religioso.
Ce ne sono di tutti i tipi. Oltre al Santo Patrono, si va dalla sagra della cozza pelosa a quella del ritorno dell’emigrato, dalla frisella più grossa mai sfornata alla benedizione dei trattori. Inoltre, la sagra della lumaca, dei sapori antichi, della zucca e tante altre ancora. Il bello di queste manifestazioni è che non c’è bisogno della prenotazione tramite app o di tutto il ventaglio di opzioni tecnologici. Basta decidere e partire per trovarsi in qualche piazza dei nostri tanti borghi dislocati lungo il Paese, con dei lunghi tavoli con panche in legno per trovarsi tra amici, familiari e gente mai vista prima. Basta questa atmosfera per trasmettere ilarità, socialità, desiderio di conversare anche con gli sconosciuti.

Il finale non può che essere condito che da musica e balli per chi ha voglia di scatenarsi, senza tante pretese di sorta. Un modo di stare insieme profondamente diverso da quello online, tanto in voga oggi. Un aspetto slow, collettivo che alimenta il senso di comunità. In una società in cui si esiste solo se si attraversano le attraenti, ma pericolose vie del web, le sagre, queste feste paesane trasmettono l’antico, autentico odore dell’umanità. Sono poche quelle raccontate dalla grande stampa se non nelle cronache locali, eppure la partecipazione è notevole.
Le persone desiderano ritornare ai valori antichi, quelli tramandati da generazioni, perché sono parte integranti delle proprie tradizioni culturali, da alimentarli con vigore per sentirli sempre più vivi. Avanti tutta, dunque, con le sagre, capaci di resistere all’usura del tempo e all’avvento della tecnologia!