Caso Mollicone: appello bis con 44 tra testimoni e periti da sentire

La strada per raggiungere la verità sulla morte della studentessa uccisa nel 2001 è irta di ostacoli. Nel nuovo processo parlerà anche Gabriele Tersigni, depositario dei segreti del brigadiere Tuzi, morto suicida.

ARCE (Frosinone) – Il 26 ottobre scorso si è riaperto il processo d’appello per l’omicidio di Serena Mollicone, la studentessa diciottenne di Arce morta ammazzata nel giugno del 2001. I giudici della Corte d’Assise di Appello di Roma hanno ammesso il rinnovo del dibattimento fissando la prossima udienza per il 20 novembre quando verranno ascoltati i Ctp, ovvero i consulenti delle parti. Subito dopo si procederà all’audizione di 44 persone, fra testimoni e periti, cosi come richiesto alla Corte dalla Procura generale che ha ritenuto indispensabile l’istanza ai fini di accertare la verità. Alla sbarra, ancora una volta, ci sono Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, il figlio Marco e la moglie Anna Maria con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere.

Da sx Franco Mottola, la moglie Amma Maria e il figlio Marco

Fra gli imputati figurano anche i carabinieri Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento e Vincenzo Quatrale, quest’ultimo accusato di istigazione al suicidio di Santino Tuzi, militare morto suicida nel Sorano, poco dopo aver raccontato agli investigatori dettagli importanti ai fini dell’inchiesta che stava prendendo una brutta piega proprio per Mottola e sodali. Il 15 luglio del 2022 il tribunale di Cassino aveva assolto Mottola, i suoi congiunti e gli altri carabinieri con formula piena per mancanza di prove ed una folla inferocita li aveva inseguiti una volta fuori dal tribunale.

Da chiarire rimangono i dubbi di sempre: per la Procura di Cassino Marco Mottola avrebbe aggredito Serena negli appartamenti degli ufficiali attigui alla caserma di Arce, le avrebbe sbattuto il capo su una porta in presenza della madre Anna Maria. Il maresciallo Mottola, all’epoca comandante di stazione, sarebbe subito accorso in stanza e avrebbe deciso di lasciare morire la ragazza, legandola e imbavagliandola mentre era priva di sensi per poi trasportarla di notte nel boschetto dell’Anitrella assieme alla moglie. Il carabiniere Quatrale avrebbe potuto impedire l’omicidio ma non lo fece inducendo poi il collega Tuzi a mentire su quanto aveva visto in caserma.

Il brigadiere Santino Tuzi con la figlia Maria in una vecchia foto

L’altro militare, Suprano, avrebbe invece nascosto la porta su cui Marco Mottola avrebbe sfracellato la testa della vittima sostituendola con una uguale installata nel suo alloggio. Per i giudici di primo grado, però, questo impianto accusatorio non reggeva dunque assolvevano tutti gli imputati. Al processo d’appello bis non mancano le novità: stavolta verrà sentito come teste che il luogotenente Gabriele Tersigni, ex comandante della stazione dei carabinieri di Fontana Liri, a cui il brigadiere Santino Tuzi, morto suicida nel 2008, aveva confidato i suoi segreti. La Procura di Cassino aveva già chiesto che Tersigni fosse ascoltato ma senza successo. Il sottufficiale suicida avrebbe confessato al luogotenente di aver visto Serena Mollicone entrare in caserma la mattina del 1 giugno 2001 per denunciare un presunto traffico e spaccio di droga in cui sarebbe stato coinvolto Marco Mottola e non solo:

” Tuzi riconobbe, nelle foto che gli vennero mostrate anni dopo dal maresciallo Tersigni, in Serena la ragazza che era entrata in caserma – aveva detto durante il primo processo l’avvocato Sandro Salera, legale di parte civile della famiglia Mollicone – quando il brigadiere si trovava al suo posto di servizio e di non averla più vista uscire. È necessario ammettere come teste anche Tersigni”.

La caserma dei carabinieri di Arce

All’epoca la richiesta rimase nel cassetto dei giudicanti ma stavolta l’ufficiale dovrebbe essere ascoltato. La medesima Pg ha chiesto alla Corte d’Appello di Roma di disporre una propria perizia di “ingegneristica robotica” sulla compatibilità del pugno di Franco Mottola con l’impronta rilevata sulla porta dell’alloggio nella caserma di Arce. Secondo l’accusa Serena sarebbe stata aggredita nell’alloggio dei Mottola sbattendo la testa contro la porta e danneggiandola. La difesa sostiene che l’impronta sarebbe stata provocata, di contro, da un pugno scagliato da Mottola in un secondo momento. Alla prima udienza erano presenti oltre gli avvocati anche la sorella di Serena Mollicone, Consuelo, e lo zio Antonio, fratello di papà Guglielmo che fino alla sua morte ha lottato per la verità. Presente anche Maria Tuzi, figlia del brigadiere Santino: “Questa volta ci aspettiamo giustizia – ha detto la donna – noi siamo pronti, vogliamo finalmente la verità…”.

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