Tribunale durante il processo d’appello per le accuse di tortura nel carcere di Torino

Carcere di Sulmona nel caos: cellulari, sovraffollamento e 60 agenti in meno

Mauro Nardella: “Pronti a un sit-in di protesta”. Interrogazione al ministro della Giustizia Carlo Nordio del senatore del Pd Michele Fina.

L’Aquila – “I sindacati di Sulmona scaldano i motori per un possibile sit-in di protesta da tenersi nei prossimi tempi qualora l’Amministrazione penitenziaria non metta mano, nell’immediato, quanto meno al trasferimento dei detenuti più facinorosi che, al pari di quelli trasferiti da altri istituti, si sono macchiati di gravi sanzioni disciplinari”. Lo ha annunciato Mauro Nardella, vicesegretario generale del Sindacato di Polizia penitenziaria sottolineando, per gli istituti di detenzione regionali, che “Non si è fatta attendere la risposta alla richiesta di farsi carico delle durissime condizioni nel quale versa il mondo carcerario abruzzese in generale e quello di Sulmona in particolare”. Il sindacalista si riferisce ad un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Carlo Nordio del senatore Pd Michele Fina.

Una interrogazione che “enuncia tutti i punti che abbiamo messo in risalto sul perché da Sulmona non vengono trasferiti i detenuti riottosi mentre da altri istituti e per molto meno si, sul perché non viene costituita una unità cinofila per respingere il fenomeno droga e sul motivo per il quale non viene implementato un sistema tecnologico del tipo Jammer in grado di mettere fuori uso telefoni e droni. A questi importantissimi 3 punti si aggiungono ovviamente i problemi legati al sovraffollamento carcerario che consta di 130 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare e di 60 poliziotti in meno rispetto a quelli necessari per garantire, così come sarebbe normale e necessario fare – ha concluso Nardella – Non ci resta che attendere con ansia una risposta da parte del guardasigilli. Non ci si può sottrarre dinanzi a precise responsabilità anche perché va posto un freno alle tante aggressioni e conseguenti violenze fisiche e morali subite dagli operatori penitenziari'”.

“Il carcere di Sulmona è all’ottantacinquesimo posto per indice di sovraffollamento, una situazione che crea tensioni e condizioni ambientali precarie”, ha scritto in una nota il senatore del Pd Michele Fina. “Per questa ragione, sollecitato anche dai sindacati, ho ritenuto di interessare con un’interrogazione il ministro della Giustizia. La grave carenza di personale penitenziario esige la necessità di turni estenuanti che non consentono lo svolgimento di un servizio efficace. Anche per questo, più volte, si sono verificati atti di violenza e aggressioni di cui la stampa ha dato conto a più riprese. Questa situazione, aggravata da condizioni igieniche precarie, infiltrazioni di acqua e carenze impiantistiche impone la necessità e l’urgenza di un intervento del Governo.

Fina sottolinea che “servono risorse per interventi strutturali e rafforzamento dell’organico per ristabilire codizioni di lavoro ordinarie, garantendo così attività rieducative all’altezza che operino per un effettivo valore riabilitativo della pena carceraria. Vedremo cosa risponderà il ministro a queste nostre sollecitazioni: ne daremo conto agli operatori e all’opinione pubblica”, ha concluso il senatore abruzzese. Solo qualche giorno fa c’era stata ancora tensione nel carcere di massima sicurezza di Sulmona dove si è sfiorata la rivolta. Un ergastolano ha gettato un secchio d’acqua contro un agente di polizia penitenziaria che era intervenuto per riportare il recluso all’interno della sua sezione. L’uomo, che già in passato aveva creato scompiglio introducendo cellulari e droga, non voleva rientrare, ritenendo di poter sostare ancora nel corridoio.

Ne è scaturita una protesta accesa, tanto che lo stesso detenuto ha poi coordinato l’intera sezione con la “battitura”: i reclusi hanno infatti agitato pentole contro le sbarre per alcuni minuti fino a quando i baschi blu hanno riportato la calma. “Da tempo abbiamo chiesto il trasferimento dell’ergastolano riottoso che ha creato una serie di problemi” sottolineano le organizzazioni sindacali. E ancora, l’emergenza cellulari in cella. Nei giorni scorsi gli agenti di polizia penitenziaria hanno scoperto dieci telefoni cellulari in altrettanti giorni nel carcere di massima sicurezza abruzzese. Sono stati effettuati controlli a tappeto all’interno della struttura dove, da gennaio a oggi, sono circa 70 i device sequestrati dai baschi blu. Lo scorso aprile i carabinieri avevano fermato due napoletani, intenti a spacciare telefoni nell’area del penitenziario.

Agenti penitenziari della struttura denunciano che i detenuti sorpresi con i telefoni dietro le sbarre non sono stati ancora trasferiti. I detenuti utilizzano questi dispositivi per comunicare con il mondo esterno, aggirando sistemi di sorveglianza, e ciò desta preoccupazione non solo per la sicurezza interna, ma anche per quella esterna. E il fatto che i detenuti non vengano trasferiti dopo la scoperta di telefoni cellulari solleva ulteriori domande circa l’efficacia delle misure adottate per scoraggiare il loro utilizzo. La mancanza di sanzioni adeguate potrebbe incentivare ulteriormente comportamenti illeciti, creando un circolo vizioso.

“A Sulmona – osserva il sindacalista Mauro Nardella – non è stato implementato un sistema volto a disturbare la frequenza dei dispositivi tecnologici, così da evitare di farli entrare con l’utilizzo di droni e di farli smettere di funzionare. Un modo per renderli quanto meno innocui dal punto di vista comunicativo”. Non è la prima volta che in questo carcere spuntano cellulari o micro cellulari. Tra il 2022 e il 2023 ne erano stati sequestrati una ventina. A parlare del fenomeno allarmante era stato il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri: in 19 penitenziari, grazie all’ingresso dei cellulari “i boss hanno continuato a minacciare e a impartire ordini all’esterno. E così riescono a eludere la detenzione”. L’emergenza è nazionale, attraversa l’intero sistema penitenziario italiano.

In ogni carcere “si annidano una media di 100 telefonini, entrano tramite droni ipertecnologici insieme a droga e armi. Con quei cellulari – ricorda Gratteri, “i boss continuano a impartire ordini all’esterno, a minacciare, ad eludere la detenzione. Sconfessando l’ormai celebre dichiarazione del ministro di Giustizia Carlo Nordio: “Un mafioso vero non parla né al telefono, né al cellulare perché sa che c’è il trojan, né in aperta campagna perché ci sono i direzionali”.

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