Dopo l’esplosione e ancora con l’inchiesta in corso, si discute su cosa fare dopo la tragedia che ha provocato 5 morti e 28 feriti.
Firenze – “Alla luce dell’esito della prima fase delle indagini riguardo all’impianto Eni di Calenzano, luogo della terribile esplosione del 9 dicembre scorso che è costata la vita a cinque persone, ritengo che
quell’impianto non sia nella collocazione giusta e lì non debba più stare”, a dirlo il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, che aggiunge: “Per una riconversione degli spazi” del deposito di carburante Eni di Calenzano, dove il 9 dicembre scorso si verificò un’esplosione che causò la morte di 5 lavoratori e il ferimento di altri 28, “partirei da un’idea interessante formulata dal sindaco di Calenzano Giuseppe Carovani, che ha parlato di trasformare quel sito in un hub delle energie rinnovabili. Una proposta da approfondire e sviluppare”.
Già lo scorso dicembre Carovani aveva chiesto di lavorare per spostare altrove il deposito carburanti di Eni, mentre la posizione di Legambiente Toscana è quella di ragionare in un’ottica di area vasta, ovvero bonifica del territorio dove oggi è presente l’impianto e creazione del Parco agroecologico della Piana. Non si tratta infatti della necessità di delocalizzare l’infrastruttura altrove – del resto, dove potrebbe essere collocato oggi un nuovo depositi carburanti da 170mila mq? –, ma di bonificare l’area e riconvertirla per fare spazio alla transizione ecologica. Il Cigno verde regionale, afferma senza mezzi termini che è cruciale garantire prioritariamente la sicurezza sui posti lavoro e mettere in opera, quanto più celermente possibile la bonifica e la rinaturalizzazione della Piana fiorentina per scongiurare il rischio che tragedie come queste si ripetano, considerando che solo in Toscana ci sono 56 impianti a rischio d’incidente rilevante (Rir) e quelli invece che rientrano nella procedura di autorizzazione integrata ambientale (Aia) sono più di 300.

Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana ha invitato a “ragionare, tutti assieme, in un’ottica di area vasta, per realizzare l’unica infrastruttura di cui questo ambito territoriale della nostra regione ha enorme bisogno: il Parco agroecologico della Piana. Un elemento ordinatore della pianificazione strutturale e strategica di tutta l’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia, capace di bonificare, riqualificare e quindi ridare speranza a un intero territorio. E quindi a una comunità e a un popolo, ancora una volta feriti dall’incuria e dal degrado”. Proprio due giorni fa nove avvisi di garanzia sono stati notificati dalla Procura di Prato per il disastro al deposito Eni di Calenzano dove quattro esplosioni hanno ucciso cinque operai e ferito 28 persone. Sette dirigenti Eni e due della società appaltatrice Sergen sono indagati a vario titolo per omicidio colposo plurimo, disastro colposo, lesioni personali e rimozione di cautele infortunistiche.
La società Eni Spa è coinvolta per responsabilità amministrativa ai sensi della Legge 231. Il procuratore Luca Tescaroli, che coordina le indagini, non usa mezzi termini: “Un evento prevedibile e evitabile, causato da un errore grave e inescusabile”. L’incidente probatorio disposto da Tescaroli analizzerà ulteriormente i rilievi tecnici, ma i primi risultati parlano chiaro: la concomitanza di manutenzione e carico, in un’area a rischio, è stata una bomba a orologeria. Tra i feriti, 28 persone, alcune rimaste in condizioni gravissime per settimane.

In una nota, Eni ha preso atto degli avvisi di garanzia, che coinvolgono “responsabili e operatori delle aree tecnico-operative della Direzione Refining Revolution and Transformation” e la stessa società per la Legge 231. “Confermiamo la piena collaborazione con l’autorità giudiziaria per individuare cause e dinamiche dell’incidente”, si legge. L’azienda ha promesso “impegno prioritario” per il risarcimento dei familiari delle vittime e dei danni civili sul territorio, in avanzato stato di definizione”. Ma per la Procura, la responsabilità non è solo tecnica: è una scelta strategica che ha messo il profitto davanti alla sicurezza. I dirigenti dell’azienda sono infatti accusati di aver operato “a vantaggio della stessa Eni in assenza di un modello organizzativo, adottato prima dei fatti, che contenesse misure precauzionali volte a impedire la situazione di rischio prevedibile ed evitabile che ha prodotto le 4 esplosioni e l’incendio“.