Brain rot: l’impatto di internet sul declino cognitivo e le sfide del futuro

La dipendenza da Internet e l’uso eccessivo della tecnologia stanno provocando un declino delle facoltà cognitive, noto come “Brain Rot”.

Negli ultimi tempi sono stati diffusi numerosi studi scientifici sugli effetti negativi che Internet produce sulla salute mentale. Sarà per questo, forse, che l’Università di Oxford, la più antica e prestigiosa del mondo anglosassone, ha designato “Brain rot” (marciume cerebrale) come parola dell’anno! Che il cervello delle umane genti sia andato in putrefazione ce lo conferma la nefasta cronaca di tutti i giorni. L’aspetto più deleterio è che la dipendenza dalla tecnologia sviluppa lo stesso processo di quella dalle droghe. Il recente “rapporto Digital 2024”, curato dall’ONU, per quanto riguarda il nostro Paese, ha mostrato che gli italiani trascorrono quasi 6 ore abbarbicati a Internet.

E’ un tempo eccessivo, se si pensa che bisogna svolgere le altre incombenze quotidiane. E’ un tempo che trancia la vita reale e il contatto umano de visu e che interferisce con le proprie attività, perché lo si usa mentre si fa altro. Questo provoca distrazione facendosi sedurre dal magico schermo, restandone ammaliati come il canto delle sirene. Il processo, in realtà, secondo gli scienziati ha avuto origine una ventina d’anni fa, quando irruppe nelle nostre vite l’e-mail. Si iniziò a studiare gli effetti che provoca sul cervello un eccesso di informazioni. Ebbene, il sovraccarico cognitivo provocava conseguenze peggiori del consumo di cannabis. Inoltre, il quoziente intellettivo scendeva di 10 punti. Siamo nel pieno di quella che il Dipartimento delle neuroscienze del MIT (Massachusetts Institute of Technology), una delle più importanti università di ricerca del mondo, ha definito “una tempesta perfetta di degrado cognitivo”. Ma il processo sembra irreversibile, perché malgrado i numerosi studi sull’uso intensivo della tecnologia e i nefasti effetti sul nostro cervello, la dipendenza da essa continua in quanto nessuno riesce a bloccarla. I danni peggiori si manifestano durante il periodo dello sviluppo cerebrale, al punto che alcuni studiosi hanno parlato di “demenza digitale”.

Col probabile rischio che potrebbero crescere le probabilità di malattie quali l’Alzheimer e demenze varie. Il problema è fortemente sentito nel nostro Paese, tanto che molti hanno firmato un appello al Governo per vietare lo smartphone sotto i 14 anni e i profili social prima dei 16. Ma il divieto potrebbe sortire l’effetto contrario. Di fronte a questo tsunami scientifico si resta basiti. Non c’è nulla da fare, dunque? Forse, qualche fiammella di speranza ancora c’è. Un dato positivo è che il termine “Brain Rot” si è maggiormente diffuso tra coloro che ne sono più colpiti, aumentandone la consapevolezza. La speranza cresce se pensiamo alla nascita di movimenti anti-tecnologia negli ultimi anni, alle leggi di alcuni Stati come l’Australia che ha vietato a scuola l’uso dei social al di sotto dei 16 anni e alle campagne per un’infanzia senza tecnologia. Tuttavia, non è tutto da buttare. Ne senso che la tecnologia ha prodotto anche benefici alla salute mentale, soprattutto degli anziani. Infatti, alcuni programmi possono aiutare la memoria e altre facoltà cognitive. La ricerca in corso ha confermato sia gli svantaggi che i benefici della tecnologia. Non è che si possa abolirla, si tratta di saperla governare. Ma sono necessarie anche interventi politici e sociali allo scopo di ridurre i rischi di dipendenza, salvaguardare lo sviluppo cognitivo dei più giovani ed esortare gli adulti ad essere responsabili nel suo uso. Perché il rischio concreto è l’annullamento della duttilità delle nostre capacità intellettive, comprese quella critica e autonoma!

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