Per i giudici capitolini il caporale Tony Drago si sarebbe ucciso per male d’amore. La Corte europea dei Diritti dell’Uomo deciderà sul grave fatto di sangue consumatosi all’interno di una caserma italiana dove il militare prestava servizio con entusiasmo e dedizione.
ROMA – Si tratta di suicidio, punto e basta. Il caso Drago è chiuso. Cosi deciso dal Gip del tribunale di Roma, Angela Gerardi, che nell’aprile scorso aveva accolto la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero Alberto Galanti. Secondo il Pm il caporale Tony Drago, 25 anni, si è suicidato per un disagio di natura privata sentimentale, lanciandosi dalla finestra di un bagno in disuso, al secondo piano della caserma capitolina dei Lancieri di Montebello. Stessa identica versione era stata riferita alla magistratura inquirente dagli stessi commilitoni che avrebbero visto Tony depresso e pensieroso in specie alcuni giorni prima dell’insano gesto. A respingere questa ipotesi è stata la stessa fidanzata della vittima e la famiglia del militare che già si erano opposte alla prima richiesta di archiviazione.
In quella occasione il giudice aveva rigettato l’istanza, ordinando la riesumazione del corpo per effettuare nuove perizie legali e una perizia cinematica da realizzare sulla scena del delitto. Da subito erano emerse, infatti, alcune anomalie. Pochi giorni prima di morire, il militare avrebbe raccontato a una ragazza di essere stato vittima di episodi di nonnismo che era intenzionato a denunciare. Sulla vicenda era stato aperto un fascicolo per concorso colposo in omicidio contro otto militari denunciati dai familiari del graduato morto. L’indagine degli inquirenti con le stellette, però, non aveva sortito gli esiti sperati. Tony Drago, 25 anni, siciliano di Siracusa, era stato ritrovato cadavere nel piazzale della caserma Sabatini il 6 luglio del 2014. Il giovane si sarebbe lanciato da un’altezza di 11 metri rovinando mortalmente sul selciato del presidio. Inutili tutti i soccorsi perché nel micidiale impatto Tony Drago sarebbe morto sul colpo. Subito si parlò di suicidio per una presunta delusione amorosa e la versione, resa dalle stesse autorità militari, era stata diramata alla stampa e la triste vicenda sembrava caduta nell’oblio come spesso accade negli ambienti in grigioverde.
Le ferite riscontrate sul corpo di Drago, però, lasciavano adito a molti dubbi dunque quel ragazzone grande e grosso oltre che generoso e determinato non sarebbe affatto salito su una sedia per poi gettarsi nel vuoto dal secondo piano della caserma:
“… I periti hanno escluso che Tony sia morto in seguito alla caduta dalla finestra – aveva detto durante l’incidente probatorio l’avvocato Dario Riccioli, legale della famiglia Drago – l’ipotesi del suicidio, a loro giudizio, è incompatibile con la perizia cinematica di Federico Boffi, funzionario della polizia scientifica, esperto della dinamica della scena del crimine. Ed è inoltre incompatibile con tracce di più traumi riscontrate sul corpo del povero Tony che, cadendo da quell’altezza, non poteva finire a circa cinque metri dal muro perimetrale dove è stato trovato… Il professore Paolo Procaccianti, medico legale incaricato dal gip, avrebbe inoltre rilevato che l’enfisema polmonare riscontrato ovvero la fame d’aria dallo stesso avvertita prima di morire è incompatibile con la morte istantanea derivante dalla precipitazione…”.
Con questi presupposti c’era da aspettarsi qualcosa in più dalla procura militare che aveva indagati diversi commilitoni della vittima senza giungere ad alcuna conclusione se non quella di chiudere le investigazioni con un nulla di fatto. Fra i tanti punti oscuri dell’indagine rimaneva da chiarire il perché Tony Drago sarebbe venuto in forte contrasto con alcuni camerati, forse gli stessi che al termine di un violento litigio l’avrebbero prima ucciso a colpi di anfibi e calci alla schiena, preso di forza e lanciato dalla finestra per poi abbandonarlo vicino al muro di cinta probabilmente ancora agonizzante. Anche i consulenti tecnici d’ufficio nominati dal tribunale capitolino avrebbero praticato la tesi dell’omicidio ma gli stessi professionisti sarebbero stati smentiti dal Gip Angela Gerardi che siglava l’archiviazione del caso seppur con qualche dubbio:
“… Gli elementi ad oggi raccolti non possono ritenersi idonei a sostenere l’accusa in giudizio – scriveva in atti il magistrato inquirente – non essendo stata neppure accertata la esatta dinamica dei fatti che, al limite, avrebbe potuto fornire indicazioni su eventuali responsabilità concorrenti di natura colposa… Permangono zone d’ombra non investigate e ormai di difficile accertamento…”.
In buona sostanza i periti nominati dallo stesso giudice durante l’incidente probatorio, nell’udienza del 15 marzo 2017, avevano chiarito, esaurientemente, con estremo rigore scientifico oltre il ragionevole dubbio, che l’unica ricostruzione compatibile con le lesioni riportate da Tony Drago e l’analisi della scena del crimine fosse quella omicidiaria (dapprima colpito alla schiena, mentre era obbligato a fare delle flessioni e, successivamente, al capo con un oggetto piatto e largo). Cosi non è stato per il Gip che, evidentemente, non era più convinto delle conclusioni a cui erano giunti i propri periti. La famiglia Drago, però, non si arrende e il cospicuo faldone d’inchiesta è stato spedito alla cancelleria della Corte europea per i Diritti dell’Uomo a cui spetterà l’ultima parola. Le analogie con la morte di Emanuele Scieri, il parà della Folgore di 26 anni ritrovato cadavere il 16 agosto del 1999, sarebbero davvero numerose. Scieri fu ritrovato senza vita sotto un tavolino ai piedi della torre usata per asciugare i paracadute e inizialmente era stato dichiarato morto per cause accidentali. A vent’anni dalla morte di Lele, siracusano come Tony, la vicenda è ancora avvolta da misteri e contraddizioni oltre che da connivenze e complicità, nonostante l’identificazione di due presunti responsabili. Anche in quel caso si parlò di nonnismo e di prove fisiche ai limiti della sopravvivenza. Chi non era d’accordo subiva le punizioni violente dei nonni. Tony come Lele?