In parole povere vuol dire modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In concreto staremo a vedere che cosa sarà capace di fare in futuro.
Roma – Riuscirà la bioeconomia circolare a salvare il pianeta? La crisi climatica e ambientale è il tema dominante di qualsiasi dibattito pubblico. Se ne parla da mane a sera. L’Unione Europea ha lanciato una nuova sfida, quella della bioeconomia circolare. Con questa locuzione si intende un sistema che utilizza le risorse biologiche rinnovabili e flussi di scarti e rifiuti per produrre energia. Come ha sostenuto Chris Paterman, il funzionario europeo fautore si questa strategia:
“La bioeconomia è un formato nuovo e allo stesso tempo il più antico dell’economia in cui si vive, perché si basa su risorse biologiche e poco su fossili o minerali”. Secondo gli esperti la metà del Prodotto Interno Lordo (PIL, la ricchezza prodotta) del pianeta dipende dalla biodiversità e dalle risorse naturali. La prima è in continua perdita e le seconde si stanno esaurendo per l’eccessivo sfruttamento perpetrato dall’uomo.
Secondo un rapporto della Banca Mondiale, per questi motivi, potrebbe verificarsi un calo del PIL globale entro il 2030 di 2,7 miliardi di dollari. Questa notizia ha creato allarma tra gli imprenditori e le aziende, che sono lo strumento con cui il capitalismo si realizza, perché quando sentono odore di soldi si comportano come le fiere quando avvertono quello della preda. Quindi è necessario passare da un’economia lineare che estrae, produce, usa e getta ad una circolare che condivide, riutilizza, ripara e ricicla materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile.
Inoltre i benefici saranno avvertiti da diversi settori. Innanzitutto da quello energetico ed estrattivo che lascerà il modello intensivo per abbracciarne uno circolare ed efficiente. Inoltre, un’agricoltura che avrà un basso impatto ambientale, la gestione sostenibile delle foreste, la bonifica di siti contaminati, la riqualifica di siti e poli industriali dimessi, la transizione dell’industria zootecnica verso un’organizzazione che preveda la formazione del reddito agricolo senza coinvolgere gli animali.
Tutti settori che avranno bisogno di professionalità e che potranno creare nuovi posti di lavoro. E con la crisi occupazionale che si sta vivendo, questa è un buona prospettiva. Solo immaginando un nuovo sistema con un paradigma culturale diverso, il cui scopo principale dovrà essere quello di restituire a madre Terra più di quanto le venga strappato, si potrà, forse, salvare il pianeta. In questo processo sarà fondamentale la ricerca scientifica per scoprire le più idonee tecnologie per il contrasto del cambiamento climatico. Un ruolo importante sarà delegato ai cittadini, se si vuole concretizzare una bioeconomia sostenibile.
Dovranno, infatti mutare stile di vita proiettato verso il minor impatto ambientale possibile. Quindi, scegliere una dieta a base vegetale, attraverso cui si eviterà lo spreco di cibo con la gestione corretta degli scarti organici da convertire i fertilizzanti tramite compostaggio. Fin qui sembrano consigli e auspici che ci fanno intravedere il Paese di Bengodi. Per mettere in pratica questo mutamento è necessario una politica globale senza divisioni sul tema. Ma tutto c’è tranne armonia e visione collettiva, solo egoismi e particolarismi. E’ così da sempre, ahimè!