Il 45enne condannato a 27 anni ha scontato metà della pena. Quasi tutti i membri del gruppo sono fuori dal carcere.
Varese – Una nuova vita da uomo libero per Eros Monterosso, uno degli esponenti del gruppo criminale che sconvolse l’Italia tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila con una serie di delitti efferati nel Varesotto. Il quarantacinquenne, condannato nel 2007 a 27 anni e tre mesi di reclusione per il suo ruolo nell’organizzazione degli omicidi attribuiti alla banda, oggi può lavorare all’esterno del carcere e rientrare nella propria abitazione al termine della giornata lavorativa.
La concessione di questo beneficio è arrivata dopo che i magistrati hanno valutato positivamente il comportamento tenuto durante la detenzione. Monterosso avrebbe scontato circa la metà della pena e ora è impiegato presso il Tribunale di Pavia, precisamente nell’ufficio che gestisce lo smistamento dei fascicoli per l’Ordine degli Avvocati. Un dettaglio significativo che il suo legale, Pasquale Lepiane, interpreta come “motivo di riscatto e di orgoglio” per il suo assistito.
Parallelamente all’attività lavorativa, l’ex membro del gruppo ha intrapreso un percorso di studi universitari e sarebbe prossimo alla laurea in Sociologia presso l’ateneo milanese.
La ricostruzione degli orrori
La storia delle Bestie di Satana esplose all’attenzione nazionale il 24 gennaio 2004, quando nello chalet di Golasecca, nel Varesotto, venne scoperto il cadavere di Mariangela Pezzotta, 28 anni. Il corpo della giovane presentava il volto devastato da una fucilata e segni evidenti di un’aggressione brutale. L’abitazione apparteneva a Giuseppe Ballarin, ma da mesi era frequentata dalla figlia Elisabetta.

Fu proprio quest’ultima a condurre gli investigatori sul luogo del crimine. La giovane era stata ricoverata in ospedale dopo un incidente stradale che aveva coinvolto anche Andrea Volpe, ex fidanzato di Mariangela e attuale compagno di Elisabetta. Quattro mesi dopo l’omicidio, Volpe ricostruì l’intera dinamica degli eventi.
L’ordine di eliminare Mariangela era arrivato da Nicola Sapone, altro componente della setta, che durante il Natale 2003 aveva intimato a Volpe di uccidere la sua ex entro un mese. La motivazione era chiara: la ventottenne conosceva troppi segreti del gruppo e aveva deciso di tirarsene fuori, rappresentando quindi una minaccia.
Il 24 gennaio, Volpe telefonò alla vittima chiedendole di portargli la registrazione di un concerto. Quando Mariangela arrivò allo chalet, ad attenderla c’erano l’ex fidanzato ed Elisabetta Ballarin. Dopo una discussione, Ballarin le sparò alla gola con una pistola. Intervenne quindi Sapone, che caricò il corpo su una carriola per trasportarlo all’esterno. Accorgendosi che Mariangela era ancora viva, la finì colpendola al volto con una pala.
Sapone ordinò ai due fidanzati di occultare il cadavere e di gettare l’automobile della vittima nel canale vicino, per poi dileguarsi dalla scena del delitto. Elisabetta si mise alla guida dell’auto di Mariangela per seguirlo, ma il veicolo si incagliò su un ponte. Volpe, credendo che la ragazza stesse male, chiese aiuto. I due furono trasportati in ospedale, dove Elisabetta confessò l’omicidio appena commesso.
Durante gli interrogatori, Volpe rivelò di essere entrato cinque anni prima in un gruppo satanico che i membri avevano battezzato “Bestie di Satana”. Il gruppo si riuniva abitualmente alla fiera di Senigallia a Milano, al parco Sempione e in un pub del capoluogo lombardo. Paolo Leoni era il leader riconosciuto della setta, mentre Nicola Sapone ricopriva un ruolo altrettanto centrale. Mario Maccione si presentava come medium capace di comunicare con entità demoniache.
I rituali descritti dai membri coinvolgevano l’uso massiccio di droghe e configuravano quello che gli esperti definirono “satanismo acido”: un fenomeno che mescolava abuso di sostanze ed episodi criminali, lontano dal satanismo tradizionale e più vicino a una deriva psicopatologica collettiva.
L’indagine sull’assassinio di Mariangela portò alla luce un doppio omicidio avvenuto sei anni prima e rimasto sepolto insieme ai corpi delle vittime. Fu ancora Andrea Volpe a indicare agli inquirenti dove si trovavano i resti di Chiara Marino e Fabio Tollis, scomparsi nel gennaio 1998.

La sera del 17 gennaio di quell’anno, Fabio Tollis uscì di casa per recarsi alla fiera di Senigallia e poi al pub Midnight insieme al gruppo. Quella stessa notte, lui e la fidanzata Chiara Marino furono attirati in un bosco del Varesotto con un pretesto. Ad aspettarli c’erano Nicola Sapone, Andrea Volpe e Mario Maccione.

Una volta giunti nel bosco, Sapone aggredì Chiara con numerose coltellate mentre Volpe colpì Fabio con un martello. Durante l’aggressione, Maccione rimase ferito. Le autopsie accertarono che Chiara morì per shock emorragico causato da undici coltellate, mentre Fabio subì dodici martellate. Volpe confessò inoltre di aver infilato un riccio nella bocca di Fabio e di averlo sgozzato temendo fosse ancora vivo.
Concluso il massacro, i tre complici seppellirono i corpi in una buca precedentemente scavata e ripulirono accuratamente la scena del crimine. Volpe rivelò anche che c’erano stati due precedenti tentativi di uccidere la coppia: Chiara con un’overdose, Fabio cercando di incendiare un’auto mentre lui era all’interno. Alla fine, il gruppo organizzò il piano definitivo. La colpa dei due giovani? Essersi allontanati dalle Bestie di Satana.
Il caso di Fabio fu inizialmente archiviato come allontanamento volontario, una conclusione che non convinse mai il padre Michele Tollis, che per anni cercò il figlio instancabilmente. Fu proprio grazie alla sua tenacia che le indagini furono riaperte. Quando l’omicidio di Mariangela riportò tutto alla luce, Michele Tollis consegnò al sostituto procuratore di Busto Arsizio tutto il materiale raccolto negli anni. “Sono sceso all’inferno e sono tornato con i cadaveri di due ragazzi”, furono le sue parole strazianti.

Al gruppo venne attribuita anche la responsabilità della morte di Andrea Bontade, che non si presentò la sera dell’omicidio di Fabio e Chiara. Per punirlo, i membri della setta tentarono più volte di stordirlo con cocktail di farmaci per spingerlo al suicidio. “Se non lo fai tu, lo facciamo noi”, gli avrebbero ripetuto minacciosamente. Il 21 settembre 1998, dopo una serata di alcol e droga trascorsa con le Bestie di Satana, Andrea Bontade si mise alla guida della sua auto e si schiantò contro un albero, morendo sul colpo.
Nel 2007 la Corte d’Assise d’Appello di Milano pronunciò le sentenze definitive. Elisabetta Ballarin e Nicola Sapone furono condannati per frode processuale, concorso nell’omicidio pluriaggravato di Mariangela Pezzotta e occultamento di cadavere. A Ballarin fu comminata una pena a 23 anni di reclusione. Sapone, ritenuto responsabile anche dell’omicidio di Chiara Marino e Fabio Tollis, fu condannato a due ergastoli con tre anni di isolamento diurno.

All’ergastolo fu condannato anche Paolo Leoni. Marco Zampollo ed Eros Monterosso furono condannati rispettivamente a 29 anni e 3 mesi e 27 anni e 3 mesi. La Corte di Cassazione confermò tutte le pene. Pietro Guerrieri e Andrea Volpe, giudicati con rito abbreviato, furono condannati a 12 anni e 8 mesi e 20 anni di reclusione.
La nuova vita delle Bestie di Satana
Monterosso non è l’unico ad aver ottenuto la libertà dopo la condanna. Andrea Volpe è uscito dal carcere dopo aver scontato 16 dei 20 anni inflittigli. Si è laureato in Scienze dell’educazione e potrebbe presto intraprendere la carriera di insegnante.

Anche Elisabetta Ballarin ha lasciato il penitenziario. Si è laureata in Beni culturali durante la detenzione e ha successivamente lavorato come guida turistica sul Lago di Iseo prima di trovare occupazione nella ristorazione. In un gesto di straordinaria umanità, il padre di Mariangela Pezzotta l’ha incontrata offrendole il proprio perdono.
Pietro Guerrieri, condannato per aver collaborato allo scavo della fossa dove vennero sepolti Fabio Tollis e Chiara Marino, è tornato in libertà, così come Marco Zampollo, attualmente impiegato in una biblioteca, e Mario Maccione, che ha beneficiato di uno sconto di pena.
Restano invece in carcere Nicola Sapone e Paolo Leoni, entrambi condannati all’ergastolo per il loro ruolo di vertice nell’organizzazione e per la diretta responsabilità negli omicidi più efferati.