Basta con “sindaca”, dura 24 ore la proposta della Lega su uso femminile in atti pubblici

Il testo voleva tutelare la “lingua italiana rispetto alle differenza di genere”, dopo la “trovata” dell’università di Trento.

Roma – Aveva fatto molto discutere ad aprile scorso la “trovata” politically correct dell’Università di Trento di declinare tutto al femminile: non più rettore ma rettrice, lo studente che diventa studentessa. Una sorta di gender gap al contrario, con cui l’Università di Trento ha riscritto per intero il proprio regolamento generale dell’Ateneo, usando il cosiddetto femminile “sovraesteso”. Ora spunta un ddl targato Lega che va nel senso opposto: basta incarichi femminili. Il senatore del Carroccio Manfredi Potenti vuole bandire titoli come sindaca, rettrice o assessora. Chi insiste rischierà multe fino a 5mila euro. Peccato che la “trovata” sia durata 24 ore.

Infatti è stata subito ritirata la proposta di legge avanzata da un senatore del Carroccio che prevedeva il divieto negli atti pubblici a usare il genere femminile “per neologismi applicati ai titoli istituzionali” come “sindaca” o “avvocata”. “La Lega ha precisato che la proposta del senatore Manfredi Potenti era un’iniziativa del tutto personale. I vertici del partito, a partire dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, non condividono quanto riportato nel Ddl Potenti il cui testo non rispecchia in alcun modo la linea della Lega che ne ha chiesto il ritiro immediato”.

Per capire meglio dove voleva andare a parare si deve partire dal titolo: “Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere“. L’obiettivo? Eliminare da tutti gli atti pubblici parole come “sindaca”, “questora”, “avvocata” o “rettrice”. Il partito guidato da Matteo Salvini chiede che l’uso del femminile sia abolito per legge e propone invece di usare sempre il maschile, a prescindere dal fatto che chi ricopra quel ruolo sia un uomo o una donna. Il disegno di legge prevede anche una multa fino a 5mila euro per chi non si adegua alle nuove regole.

L’obiettivo dichiarato del provvedimento è preservare l’integrità della lingua italiana e, in particolare, “evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici dai tentativi ‘simbolici’ di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”. Un attacco, seppur scritto in politichese, al famigerato “politicamente corretto”, al punto che lo stesso senatore Potenti, nelle premesse del disegno di legge, mette in guardia rispetto al rischio che “la legittima battaglia per la parità di genere” finisca per favorire “eccessi non rispettosi delle istituzioni”. A dire il vero la declinazione al femminile di molte cariche pubbliche – avvocata, rettrice, sindaca, assessora e non solo – è considerata una formula corretta della lingua italiana, e da tempo, tanto da ricevere semaforo verde dall’Accademia della Crusca.

L’articolo 2 del disegno di legge presentato e ritirato dal senatore Potenti prevede che “in qualsiasi atto o documento emanato da Enti pubblici o da altri enti finanziati con fondi pubblici o comunque destinati alla pubblica utilità, è fatto divieto del genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge”. Mentre l’articolo 3 vieta il cosiddetto “femminile sovraesteso”, un approccio linguistico che utilizza la forma al femminile per riferirsi a tutti i generi, e in generale qualsiasi sperimentazione linguistica. Infine, il capitolo sanzioni: “La violazione degli obblighi di cui alla presente legge – si legge nel ddl – comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 1.000 a 5.000 euro”.

Così all’Università di Trento sono scomparsi tutti i termini al maschile. Un ribaltamento totale che va oltre l’uso della controversa “Schwa” perché, pur puntando all’inclusione, non lo fa attraverso un approccio neutro, come appunto la schwa, bensì riscrivendo tutto al femminile. Per cui, anche se il rettore sarà uomo, da oggi, si chiama “Rettora”.  Infatti all’Articolo 1 del Regolamento universitario si legge che “i termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone”.

La novità è stata approvata dal Consiglio di amministrazione che, lo scorso 28 marzo, ha varato l’originale documento scritto usando il “femminile sovraesteso” per le cariche e i riferimenti di genere. E se qualcuno si chiede se l’amministrazione di UniTrento sia nelle mani di tutte donne, la risposta arriva del rettore, pardon rettrice Flavio Deflorian, che ha parlato di un atto simbolico per dimostrare parità di genere a partire dal “linguaggio dei nostri documenti”. 

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