Dalla Santa Sede sono stati scagliati dardi all’indirizzo del monastero Maria Tempio, reo secondo le autorità ecclesiastiche di occuparsi di attività come l’esercizio commerciale e la veicolazione sui social network di messaggi evangelici e attività benefiche.
PIENZA (Siena) – Loro non ci stanno: “Ci hanno accusato senza spiegarci i motivi dei nostri presunti errori. Desideriamo ricorrere in avverso alle decisioni della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza nelle sedi ecclesiastiche competenti atteso che della vicenda si occupano le autorità vaticane che hanno potere decisionale“. A parlare con determinazione e puntualità sono le 13 suore benedettine del monastero Maria Tempio dello Spirito Santo di Pienza, in provincia di Siena, diretto dalla madre superiora suor Diletta Forti, di cui è stato chiesto il trasferimento.
Ma c’è molto di più. Perché si parlerebbe anche di rimozione della superiora e rischio di allontanamento dalla vita monastica. In buona sostanza, e da quello che si sa, alle autorità della Curia senese e della Santa Sede pare non vadano a genio le attività “commerciali” delle suore e l’uso dei social, a dire degli alti prelati eccessivo e non consono all’abito indossato e al regime di clausura. Dunque via subito il banco delle marmellate, del miele e dei biscotti che le suore tengono ogni settimana con grande successo di pubblico, come pure lo shop online di candele e palline di Natale ed altri oggetti fatti espressamente a mano.
Alle autorità vaticane ha dato fastidio soprattutto l’utilizzo di Facebook, Instagram ed altri social network utilizzati dalle sorelle di Pienza nei quali è stato pubblicizzato un annuncio, alle donne dai 18 ai 38 anni, finalizzato a “provare” l’esperienza della vita claustrale per una settimana, per poi decidere se “arruolarsi” o meno. Insomma tutte queste iniziative, che denotano cultura della comunicazione e allineamento ai nuovi stili di vita di una società in evoluzione di cui la Chiesa fa parte, hanno cagionato prurito al naso di qualche porporato, facendo scaturire provvedimenti punitivi assai gravi come il commissariamento del monastero e la rimozione della madre superiora.
Dalla parte delle suore di Pienza ci sono migliaia di follower che sono scesi in campo sul Web decisi a difendere le benedettine, ma le stesse monache non sono certo rimaste con le mani in mano:
”Una epurazione senza motivi ufficiali: vogliamo solo capire di che cosa siamo accusate non vi sono affatto atteggiamenti disallineati, piuttosto vi è legittimo esercizio dei diritti che lo stesso diritto canonico riconosce. Ci accusano vagamente di comportamenti disallineati con le nostre scelte di vita ma non è vero. La professione religiosa perpetua non priva chi la emette né della voce né della ragione e l’obbedienza è un ossequio dell’intelletto e della volontà ai comandi legittimi e secondo giustizia, non cieca e supina subordinazione a comandi arbitrari…In pratica siamo state oggetto di provvedimenti che si traducono in una punizione senza che ci sia spiegato qual è il comportamento per cui saremmo state sanzionate” scrivono le spose del Signore in un comunicato.
“Non è indicata quale legge avremmo violato e nemmeno è indicato un comportamento contrario alla legge canonica: nei decreti non c’è nulla. Se si considera che le punizioni sono severe perché comportano l’allontanamento dal monastero e finanche dalla vita monastica, appare mortificante accettare una punizione senza nemmeno sapere perché si viene puniti…Ancora più doloroso è apprendere dai giornali presunte motivazioni dalle quali non ci siamo mai potute difendere e da cui tutt’ora non possiamo difenderci perché non sono nemmeno accennate negli atti ufficiali. La nostra intenzione è di difenderci nelle competenti sedi canoniche innanzitutto per capire di cosa siamo accusate. Auspichiamo che la Diocesi contenga le sue dichiarazioni che si appalesano inopportune dal momento che, dell’intera vicenda, è investito il competente dicastero Vaticano” prosegue il comunicato delle monache.
Peraltro sembra che proprio la Diocesi non abbia competenze per quanto attiene i decreti del Dicastero Vaticano per gli Istituti di Vita Consacrata e la loro presunta mancata esecuzione. Orbene non si tratterebbe dunque di provvedimenti, quelli della Santa Sede, che riguardano un semplice “avvicendamento“, come banalizza la Diocesi, ma che di fatto dispongono misure sanzionatorie contro il monastero, l’abbadessa e la priora: ”La nostra istituzione è stata diffamata – concludono le suore – creando un gratuito quanto inopportuno clima di scandalo…”.