Allarme demografico: per ogni persona che muore non ce n’è un’altra che nasce

Oggi siamo praticamente alla metà dei nati per ogni decesso. È un problema sia nell’immediato che nel futuro a breve termine, quando le generazioni che ora lavorano andranno in pensione, o proveranno a farlo e non ci saranno abbastanza risorse per coprire i costi.

Roma – È il cosiddetto “inverno demografico” spiega l’Istat. Insomma uno scenario in cui di anno in anno la popolazione vede ridurre la propria capacità di rinnovarsi per effetto dell’apporto quantitativo dato dall’ammontare delle nuove generazioni. Il problema, però, è che la popolazione residente calerà drasticamente da qui ai prossimi anni. Già adesso è previsto un crollo nel 2051, si parla di circa cinque milioni di italiani in meno.

Il tutto al netto della quota di immigrazione, che continua a essere, come ricorda l’Istat, l’unica via d’uscita da questa situazione, anche se forse ormai è troppo tardi anche in quel senso. Una popolazione sempre più anziana, milioni di cittadini in meno in trent’anni è un problema enorme per il mercato del lavoro. Le stime dell’Istat, che ha diffuso il Rapporto annuale 2023, sono più che inquietanti. Il primo problema sono le nascite, che ormai da tempo hanno perso il passo dei decessi e soprattutto sono in calo costante. Infatti, secondo il rapporto Istat si evidenzia che i decessi aumentano, le nascite crollano e il saldo naturale ha ormai raggiunto la quota di meno 350 mila l’anno.

Proiezioni preoccupanti per il cambiamento generazionale

All’inizio del nuovo millennio era ancora positivo, poi l’inversione di tendenza che sembra impossibile da ribaltare nuovamente. Una parte rilevante del cambiamento di lungo periodo nella struttura demografica, avviato da tempo, si realizzerebbe già tra il 2021 e il 2041. In questo ventennio, i residenti nella fascia di età fino ai 24 anni si ridurrebbero del 18,5 per cento, perdendo circa 2,5 milioni e la popolazione adulta tra i 25 e i 64 anni scenderebbe di 5,3 milioni, cioè -16,7 per cento. Poi vi è la popolazione in età da lavoro, che crollerà in favore di quella in età da pensione. Infatti, crescerebbe invece di quasi un milione di unità la popolazione tra i 65 e 69 anni (+27,8 per cento).

Quest’ultima fascia di età, per l’effetto dello spostamento in avanti dell’età attiva e di pensionamento previste dall’attuale quadro normativo, sarà sempre più presente nel mercato del lavoro, con conseguenze negative sull’impiego di capitale umano e la disponibilità di competenze, specie di tipo digitale. Nonostante l’apporto della classe più anziana, per coloro che hanno 25-69 anni si stima una riduzione del 12,3 per cento, mentre aumenterebbero di 3,8 milioni (+36,2 per cento) gli anziani di 70 anni e più, che nel 2041 comprenderanno la generazione del baby boom del secolo scorso. Insomma, quasi quattro milioni in più di anziani che dovranno ricevere la pensione, mentre la popolazione in età da lavoro, che dovrà versare i contributi, sarà sempre meno.

La bomba demografica italiana

Una bomba a orologeria pronta a esplodere basta aspettare pochi anni. Il calo della popolazione, di quella attiva in particolare, è una tendenza che riguarda l’Italia più di altri Paesi. Servono con urgenza risposte sia dalla politica che dalle imprese, che introducano politiche coerenti sul welfare, sui giovani, sulle nascite, così come sui flussi migratori e l’integrazione. Senza preconcetti e senza rigidità ideologiche. “Solo per effetto del cambiamento demografico, della composizione per età della popolazione, del numero di abitanti, il Pil dai 1.800 miliardi attuali rischia di scendere di 500 miliardi da qui al 2070”, ha spiegato il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo.

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