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Al via la stagione venatoria 2025-2026: sedici regioni aprono in anticipo

Escluse Valle d’Aosta, Liguria, Lazio e Umbria. Polemiche per la caccia nelle zone devastate da alluvioni e incendi.

Roma – Ha riaperto ufficialmente, lunedì 1° settembre, la stagione venatoria 2025-2026 in sedici delle venti regioni italiane. Un avvio anticipato che segna l’inizio di una nuova annata di caccia, non senza polemiche e contrasti tra sostenitori e oppositori dell’attività venatoria.

A dare il via libera alla caccia sono state sedici regioni, mentre restano escluse dalla partenza anticipata Valle d’Aosta, Liguria e, novità di quest’anno, anche Lazio e Umbria. In questi quattro territori i cacciatori dovranno attendere la tradizionale terza domenica di settembre, che quest’anno capita il 21 del mese.

Particolare attenzione merita la Lombardia, dove l’attività venatoria sarà consentita nella provincia di Brescia e, per la prima volta, anche nella pianura del Milanese e in Brianza, ampliando così il territorio a disposizione dei cacciatori della regione.

Quindici specie nel mirino

La stagione 2025-2026 prevede complessivamente quindici specie cacciabili, con l’attività che si svolgerà principalmente da appostamento fisso in questa prima fase. Una differenza sostanziale rispetto agli anni passati riguarda l’assenza di interventi inibitori da parte dei tribunali amministrativi: i calendari venatori sono stati approvati quasi ovunque con largo anticipo.

A facilitare questa situazione ha contribuito la modifica della Legge 157/92, introdotta lo scorso anno, che in caso di sospensione cautelare farebbe comunque valere i calendari della stagione precedente, garantendo maggiore continuità all’attività venatoria.

Specie controverse e procedure UE

Non mancano tuttavia le criticità legate alla tutela di alcune specie. L’Unione Europea ha avviato procedure contro l’Italia per il rischio rappresentato dalla caccia ad animali ancora nella fase riproduttiva.

Tra le specie più controverse figura la tortora selvatica, in evidente declino numerico, che sarà comunque cacciabile in Sicilia e Friuli Venezia-Giulia. Analoghe preoccupazioni riguardano il colombaccio, che potrà essere abbattuto in dieci regioni nonostante rimanga riproduttivo fino alla fine di ottobre. L’Ispra, l’Istituto di protezione del territorio, aveva richiesto una moratoria su questa specie, richiesta rimasta inascoltata.

Nel mirino delle doppiette restano anche i corvidi (cornacchie, gazze, ghiandaie), la quaglia – unico uccello cacciabile anche con l’ausilio di cani -, l’alzavola, il germano reale e la marzaiola.

Polemiche per le zone colpite da calamità

Particolarmente accesa la polemica sollevata dall’Ente Nazionale Protezione Animali, che definisce “inaccettabile” l’autorizzazione alla preapertura della caccia anche in regioni devastate da alluvioni e incendi come Emilia-Romagna e Sicilia, territori che hanno dichiarato lo stato di calamità naturale e dove sono ancora presenti flussi turistici.

enpa
Volontari Enpa

Dal versante opposto, i cacciatori lamentano un eccesso di regolamentazione che, secondo le loro associazioni, “farà partire la stagione in sordina”, limitando le possibilità di esercitare l’attività venatoria.

Il fronte politico: foreste demaniali e iniziativa popolare

Sul fronte politico, la maggioranza di governo sta spingendo per l’approvazione in Senato del Decreto legge 1552, che aprirebbe la caccia anche nelle foreste demaniali, riducendo di fatto le aree protette attualmente esistenti.

In risposta a questa vocazione favorevole all’attività venatoria, le associazioni animaliste hanno promosso una legge di iniziativa popolare denominata “Stop Caccia”, che si pone l’obiettivo di limitare significativamente l’esercizio della caccia sul territorio nazionale.

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