Un mikveh scoperto a Ostia Antica rivela nuovi dettagli sulla presenza giudaica nell’Impero romano.
Roma – Splendida scoperta nel Parco Archeologico di Ostia Antica, dove, tra giugno e agosto 2024, è emerso un tesoro archeologico senza precedenti: un mikveh, un bagno rituale ebraico del I secolo d.C., il più antico mai trovato fuori dalla Terra d’Israele. Annunciata solo ora dal Ministero della Cultura, non è solo un ritrovamento straordinario: è una testimonianza viva della presenza ebraica nel cuore dell’Impero romano, un frammento di storia che conferma il passato complesso e multiculturale di Ostia, la “porta” di Roma sul Mediterraneo.
La scoperta del bagno rituale ebraico nell’Area A di Ostia
Nel cuore di Ostia Antica, l’antico porto di Roma, il progetto OPS – Ostia Post Scriptum ha riportato alla luce un segreto custodito per quasi duemila anni. Finanziato dal Ministero della Cultura con oltre 124mila euro, lo scavo si è concentrato nell’Area A, una zona strategica tra i Grandi Horrea (magazzini), i Quattro Tempietti e il Piazzale delle Corporazioni. Qui, tra mosaici bianchi e neri e mura di tufo, gli archeologi hanno trovato un edificio sontuoso, forse un centro comunitario. Al suo interno, un vano semi-ipogeo rettangolare, con un’abside semicircolare e una scala che occupa tutta la larghezza, conduce a un pozzo profondo. Le pareti, rivestite di intonaco idraulico, e i reperti – come una lucerna con una menorah, il candelabro a sette bracci – non lasciano dubbi: siamo di fronte a un mikveh.
Il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha parlato del ritrovamento come di “un unicum nel Mediterraneo di età romana”, sottolineando il ruolo di Ostia come crocevia di culture. “Qui Roma accoglieva i culti di altre civiltà”, ha ricordato, evidenziando la tolleranza che caratterizzava la città nel I secolo d.C., quando l’Impero iniziava a dominare il Mare Nostrum.
Il mikveh: un rituale di purificazione
Cos’è un mikveh? Nella tradizione ebraica, è un bagno rituale per la purificazione spirituale, usato per immergersi completamente in acqua “viva” – piovana o di falda – in occasioni come la conversione, il matrimonio o la preparazione allo Shabbat. Secondo la Mishnah e la Tosefta, fonti rabbiniche redatte nel corso del III secolo d.C., il mikveh doveva essere alimentato mediante acqua piovana o sorgiva, in quantità non inferiore a 40 se’ah (circa 500 l), e la profondità doveva essere tale da permettere la completa immersione del corpo di un uomo di media statura.
I più antichi esempi di mikva’ot archeologicamente documentati in Israele risalgono all’età asmonea (fine I secolo a.C. – inizio I secolo d.C.). Capillarmente diffusi in Giudea, Galilea e Idumea in età erodiana, in particolare all’interno di edifici a carattere residenziale, diminuiscono progressivamente nel I secolo fino a scomparire quasi del tutto all’inizio del II, in connessione con la piena romanizzazione della regione a seguito della distruzione del Tempio nell’anno 70 d.C. e della successiva repressione della rivolta di Bar Kokhba nel 135 d.C.
Scarsissime sono le attestazioni successive, tra cui emergono i numerosi mikva’ot rinvenuti nella città galilea di Sepphoris. Non sono finora noti mikva’ot di epoca romana o tardo-antica nei luoghi della Diaspora, con l’unica eccezione del mikveh di Palazzo Bianca a Siracusa, probabilmente realizzato nei pressi della locale sinagoga tra VI e VII secolo d.C.
Il bagno ebraico di Ostia, unico ed elegante
La struttura ostiense risponde pienamente ai requisiti descritti nelle fonti rabbiniche: una vasca rettangolare con gradini larghi, un pozzo di 1,08 metri di diametro per captare l’acqua sotterranea, e una profondità sufficiente per l’immersione totale. Una nicchia decorata con conchiglie e intonaco azzurro, sostenuta da colonnine, aggiunge un tocco di eleganza all’insieme, mentre un foro nella muratura suggerisce una conduttura per regolare il flusso idrico.
Il Direttore del Parco, Alessandro D’Alessio, lo ha definito “assolutamente straordinario”: nessun altro mikveh di epoca romana era noto fuori da Giudea, Galilea e Idumea. I reperti dal pozzo, tra cui una lucerna con menorah e lulav (ramo di palma) databile al V-VI secolo d.C., confermano l’uso prolungato del sito, collegandolo alla sinagoga ostiense, la più antica del Mediterraneo occidentale, attiva fino al declino della città.
Ostia: porto vivace e città cosmopolita
Ostia non era solo il porto di Roma, ma una città cosmopolita dove mercanti, marinai e viaggiatori da tutto il Mediterraneo si incontravano. Greci, egiziani, siriani e, sì, ebrei convivevano tra i suoi templi e le sue terme. La presenza ebraica è attestata già dal I secolo d.C., con un’iscrizione nella necropoli di Pianabella che menziona gli Iudaei.
Il mikveh scoperto rafforza questa storia: non un reperto isolato, ma parte di un possibile centro di aggregazione ebraico, forse legato alla sinagoga costruita tra il II e il III secolo. Come ha osservato il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, “una struttura così non poteva essere scollegata dal suo contesto edilizio”, suggerendo che l’intero edificio fosse un fulcro della vita comunitaria.
Victor Fadlun, presidente della Comunità Ebraica di Roma, ha espresso “emozione e orgoglio” per un ritrovamento che testimonia “il radicamento millenario degli ebrei a Roma” e il loro legame con la Terra d’Israele. La lucerna con menorah, trovata nel pozzo insieme a un bicchiere di vetro intatto, è un simbolo tangibile di questa identità preservata attraverso i secoli.
Il Progetto OPS per la “rinascita archeologica”
Lanciato nel 2022 dal Parco Archeologico di Ostia Antica in collaborazione con l’Università di Catania e il Politecnico di Bari, il progetto OPS segna il ritorno degli scavi diretti dopo decenni di pausa. Sotto la guida di Alessandro D’Alessio e Claudia Tempesta, l’iniziativa punta a incrementare la conoscenza di Ostia, migliorare la fruizione del sito e condividere i risultati con il pubblico. L’Area A, mai indagata prima, si è rivelata un tesoro intatto: oltre al mikveh, gli archeologi hanno riportato alla luce mosaici pavimentali e frammenti marmorei, tra cui pezzi di un’epigrafe e statuette.
Massimo Osanna, Direttore Generale Musei, ha lodato il ruolo del Ministero nel finanziare interventi su scala nazionale, sottolineando come Ostia Antica si distingua per l’eccellenza della ricerca. Alfonsina Russo, Capo Dipartimento per la Valorizzazione, ha aggiunto che il mikveh “conferma le inusitate potenzialità del patrimonio italiano”, unendo ricerca, tutela e fruizione.
Il mikveh in futuro sarà fruibile
Certo, il mikveh ostiense è davvero suggestivo. La scala, con tre gradini segnati dall’usura, scende di un metro dal livello d’ingresso, delimitata da spallette in muratura. Il pavimento in mattoni bipedali, tipico dell’edilizia romana, presenta un incasso per una transenna, forse di legno, che separava lo spazio. Il pozzo, rivestito in cementizio, si allarga alla base per facilitare l’accesso all’acqua, mentre la nicchia absidale, con il suo azzurro celeste e le conchiglie, evoca un’estetica raffinata. I materiali di scarto – lucerne, vetri e frammenti epigrafici – datano l’abbandono al V-VI secolo, quando Ostia iniziò a svuotarsi.
Il mikveh di Ostia non è “solo” un reperto. Essendo il primo bagno rituale ebraico trovato fuori da Israele, sposta il confine della storia della Diaspora, dimostrando quanto la comunità ebraica fosse integrata e attiva nell’Impero. Per gli studiosi, apre nuovi scenari sulla vita religiosa e sociale di Ostia; per i visitatori, promette un’esperienza ancora più ricca quando il sito sarà accessibile. Il Ministero ha già annunciato ulteriori investimenti per continuare gli scavi e rendere il mikveh fruibile, così che possa tornare ad essere patrimonio di tutti.