Sono ormai troppi i pazienti che giungono nella regione emiliana per farsi curare. In larga parte provengono dall’Italia peninsulare e insulare dove la sanità barcolla.
Troppi pazienti fuori regione: un problema per l’Emilia-Romagna. Qualche tempo fa, il presidente della Regione Emilia-Romagna, Michele De Pascale, ha dichiarato alla stampa che il proprio sistema sanitario, fiore all’occhiello fino a qualche anno fa per eccellenza e efficacia, è oberato da un numero eccessivo di pazienti provenienti da altre regioni. Questa situazione, a cui non si vede alcun rimedio, sta bloccando il sistema.
C’è da registrare che l’accoglienza dei fuori sede territoriali non viene fatta gratuitamente. Una Regione non è la Caritas e lo spostamento di pazienti con famigliari al seguito comporta spese per la regione di provenienza e di vitto e alloggio per i congiunti. Considerando che si tratta di risorse finanziarie, spesso provenienti da Regioni con un servizio sanitario deficitario, la cosiddetta emigrazione sanitaria, arricchisce chi è già ricco e impoverisce chi è già povero.
Infatti Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia sono le 3 regioni col più alto numero di pazienti non residenti in loco. Una conferma di un Servizio sanitario con forti criticità, in quanto non offre lo stesso livello di assistenza su tutto il territorio nazionale. Gli studiosi de fenomeni sociali hanno definito questo fenomeno “mobilità sanitaria” che si distingue in attiva, cioè la capacità delle strutture sanitarie di una regione di attrarre pazienti da altre regioni, e passiva, ovvero la necessità di molti pazienti di spostarsi fuori regione a causa della mancanza di strutture specializzate, per via di inefficienze e tempi di attesa elevati.
La differenza tra mobilità attiva e passiva mostra la capacità di una determinata regione di attrarre pazienti, ed è considerata quindi un indicatore della qualità del servizio sanitario offerto. L’Emilia-Romagna è un polo di attrazione per prestazioni complesse, quali la cardiochirurgia, l’onco-ematologia, i trapianti, l’ortopedia avanzata, ma anche per la terapia delle malattie croniche. Negli ultimi tempi è cresciuta molto la domanda di pazienti con patologie poco invasive, oltre a coloro da sottoporre a visita medica in tempi più veloci, rispetto a quelli biblici delle regioni di provenienza.

In un certo senso la mobilità è democratica poiché garantisce l’universalità, uno dei principi alla base della nascita del Servizio sanitario nazionale (Ssn) nel lontano 1978. Però c’è il rovescio della medaglia: le regioni di partenza dei pazienti manifestano enormi difficoltà a creare servizi di eccellenza e lo spostamento della speranza, spesso, cela una serie di interventi non necessari e incontrollabili. L’AGENAS, l’Agenzia Nazionale per i Servizi sanitari, ha diffuso dei dati secondo cui in Emilia-Romagna, dopo la pandemia, il numero di pazienti da fuori regione è cresciuto vertiginosamente.
Ma l’offerta non può essere soddisfatta per sempre, soprattutto perché il personale è carente e i rimborsi sono parziali. I tecnici della regione si stanno prodigando per giungere ad un accordo con le regioni meridionali per una comprensione complessiva del fenomeno e per contenerlo. Soprattutto per quanto riguarda la bassa complessità sanitaria che potrebbe essere effettuata nelle regioni di provenienza, che pagano 2 volte, per il mancato utilizzo delle strutture locali e per il rimborso per le cure fuori regione.
E’ paradossale la situazione del Sud: l’emigrazione come costante. Partono giovani per lavoro e per studio, si spostano persone per curarsi, forse perché, oltre all’eccellenza sanitaria trovano un ambiente familiare, nel senso che tra i reparti ospedalieri si sente che la cadenza dialettale è tipicamente meridionale!