Sempre più difficile arrivare a fine mese ed il disagio sociale cresce in maniera esponenziale mentre diminuisce il potere d’acquisto per le famiglie. Allarme rosso.
Secondo Eurostat il reddito reale degli italiani è diminuito negli ultimi 15 anni. Nel rapporto sulle condizioni di vita dei cittadini europei presentato da Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea (UE), è emerso che il potere d’acquisto degli italiani è peggiorato dal 2010. E noi, invece, che pensavamo di vivere in un periodo di “vacche grasse”! In realtà milioni di lavoratori se ne sono accorti sulla propria pelle, viste le difficoltà di arrivare alla fine del mese.
Però, ora che c’è l’avvallo di un’istituzione europea come Eurostat, si va a letto più contenti! In dettaglio il tasso reale delle retribuzioni degli italiani è calato del 2,8%, mentre nel resto dell’Europa, in media, è cresciuto del 20,4%. Ovvero, con la stessa quantità di reddito, gli italiani possono acquistare meno beni e servizi rispetto al 2010. I consumatori italiani conoscono bene il fenomeno. Se si va indietro nel tempo, si scopre che, ad esempio, nel 2008 il potere d’acquisto italiano ha raggiunto il suo massimo, prima di soccombere alla crisi finanziaria del 2008, innescata dalla crisi dei mutui subprime statunitensi, che produsse la cosiddetta “Grande Recessione”.
Da allora, il potere d’acquisto medio è calato del 7%. In pratica, se nel 2008 occorrevano 100 euro per fare la spesa, oggi ce ne vogliono 107, anche se nominalmente i salari e stipendi sono aumentati, crescita erosa dalla perfida inflazione. Ecco spiegato il motivo per cui i cittadini hanno una percezione del proprio benessere in caduta libera! Se crescono i redditi, ma i prezzi ancora di più, il gioco non vale la candela.
Al costo della vita, definito dagli economisti come la spesa totale necessaria per mantenere un certo tenore di vita in una data località, coprendo beni e servizi essenziali come cibo, alloggio, trasporti e sanità, non è seguita, purtroppo, una politica dei redditi adeguata alle mutate condizioni da parte dei vari governi che si sono succeduti dal 2008 ad oggi. E molte famiglie sono costrette a stringere la fatidica cinghia e a sopportare privazioni economiche. Eppure i Paesi europei, hanno mostrato, rispetto all’Italia, di preferire la velocità, perché vanno a tutto gas, visto che è cresciuto il potere d’acquisto dei lavoratori.
Evidentemente da noi si preferiscono altri sport, come quello di fare nulla o molto poco e male per invertire la rotta. Le economie di molti Paesi europei, quelle del Nord e dell’Est Europa, si sono attrezzate a livello di competitività, produttività e salari. Mentre in Italia questi fattori latitano, a conferma di un equilibrio socioeconomico molto fragile che non può che produrre la precaria situazione economica vissuta dalle famiglie italiane. Secondi gli esperti la causa della stagnazione italiana non è univoca, tutt’altro, ma è il frutto di una combinazione di fattori che si sostengono vicendevolmente. Il problema è la bassa produttività pure nel settore manifatturiero, una volta trainante dell’economia nazionale.

Si tratta di tutte quelle attività economiche che trasformano le materie prime in prodotti finiti o semilavorati attraverso processi di fabbricazione, lavorazione e assemblaggio. Questo settore comprende una vasta gamma di industrie, come l’automobilistico, la chimica, l’elettronica, l’alimentare e il tessile. Alla produttività bassa, si aggiunge un meccanismo salariale rigido, incapace di contrastare l’inflazione e la competitività dei competitors europei.
Inoltre un altro aspetto tipico del nostro Paese, il proliferare del precariato nel turismo e nei servizi che fanno crescere l’occupazione e squillare fanfare di giubilo dalla compagine governativa. In realtà è un dato molto ambiguo, da cui non scaturisce stabilità reddituale. Come la pletora di partite Iva a reddito basso che non ha eguali nel Continente. Inoltre gli investimenti in ricerca e sviluppo proseguono al ribasso rispetto alla media europea. Il risultato?
Una segmentazione marcata di tutta la struttura produttiva e una età avanzata della forza lavoro che bloccano la capacità di ripresa del Paese. Poiché a livello politico non si scorge nessuna soluzione ad hoc, non resta che affidarsi all’antico motto siciliano “calati giunco che passa la piena“. Insomma “adda passà ‘a nuttata“, come disse il grande Edoardo De Filippo in “Napoli milionaria”!