Turismo – Non è tutto oro quello che luccica

Affermare che l’indotto traina l’economia nazionale e che ci saranno nuovi posti di lavoro non è affatto la verità poichè il turismo straniero, su cui si basavano le maggiori entrate, segna il passo.

Il turismo italiano, una torta da 258 miliardi di dollari. Che il turismo sia una delle architravi dell’economia italiana è un argomento conosciuto al colto, all’inclita e ai meno dotati intellettualmente. Il 29 settembre scorso, per celebrarne i fasti, si è svolto a Roma il World Travel & Tourism Council (WTTC), un forum internazionale dedicato al settore privato dell’industria dei viaggi e del turismo. È composto da membri della comunità imprenditoriale globale (amministratori delegati, presidenti e direttori generali delle principali aziende del settore) e collabora con governi e istituzioniper promuovere la crescita sostenibile dell’industria turistica e sensibilizzare l’opinione pubblica sul suo contributo economico e sociale.

In questo “parterre de roi” non poteva mancare un esponente del nostro governo che si è palesato nella figura del ministro dell’Economia e Finanze Giancarlo Giorgetti. Non sono mancate sperticati lodi e peana, quasi degli inni celebrativi per il turismo bel Bel Paese, giunto al valore di 258 miliardi di dollari, cifra che classica al 10° posto al mondo per incidenza sulla ricchezza prodotta, il celeberrimo PIL (Prodotto Interno Lordo). Una notizia del genere non poteva che scatenare una serie di panegirici sulla stampa mainstream, omettendo le asperità del settore.

L’elenco è lungo ma basta ricordare l’overturism, le infime paghe date agli operatori (i più fortunati, perché una discreta quota sono in “nero”), attività che non creano valore per il cliente finale, consumando tempo e risorse senza contribuire al miglioramento del prodotto o servizio, come attese, trasporti inutili, difetti in genere. Ma queste tematiche è meglio sminuirle, nascondendole come la polvere sotto il tappeto. Meglio enfatizzare il ruolo del turismo come consolidatore economico che è riuscito ad assorbire le difficoltà dell’economia, in particolare del comparto manifatturiero, a causa delle crisi geopolitiche globali.

Gli stranieri che preferivano l’Italia scelgono altre mete

Nemmeno i dazi americani l’hanno scosso più di tanto, tant’è che anche quest’anno c’è stato una crescita degli arrivi. L’aumento è stato del 6,22% rispetto al 2024. Il turismo gode di una qualità che è intrinseca nel settore. Ossia, per entrare in questo mondo, i costi d’ingresso sono bassi rispetto ad altre attività imprenditoriali. Questa peculiarità è stata colta al balzo da molti italiani, soprattutto da coloro dotati di un grande fiuto per gli affari come dei veri e propri segugi. In questo modo molte persone hanno intrapreso l’avventura, da cui sono scaturite nuove occasioni di lavoro, inimmaginabili fino a qualche anno fa.

Ma una società moderna non può correre il rischio di “turistizzarsi”, nel senso che non può basare l’intera economia su un settore. I rischi sono molteplici. Le recenti tensioni geopolitiche, in Europa e nel resto d’Europa, hanno causato forti fluttuazioni delle presenze straniere. Inoltre, secondo l’Istat, il valore aggiunto è molto più basso rispetto ad altri comparti dell’economia e i posti di lavoro sono soprattutto stagionali con paghe ridotte. Il ministro Giorgetti ha posto l’accentro su 3 condizioni su cui deve poggiarsi il turismo del futuro su cui le aziende dovrebbero investire per essere competitive sul mercato globale: investimenti nelle infrastrutture, formazione professionale e digitalizzazione.  

Il governo, secondo il ministro, farà la sua parte sui trasporti e sulla creazione di una nuova scuola per il turismo. Ma si sa che nel nostro splendido Paese si manifesta una certa allergia da parte delle imprese, quando bisogna aprire i cordoni della borsa. Si chiede, quindi, che lo faccia papà Stato e in questo caso inizia la corsa ad arraffare fino all’ultimo centesimo: li chiamano (im)prenditori! Tuttavia, si continua a battere sullo stesso chiodo.

Si parla sempre, incessantemente di aumentare la produzione per far crescere il PIL. Purtroppo la storia non è “magistra vitae”. Il passato, finora, non ha insegnato nulla: è proprio l’eccessiva produzione che ha partorito tutti i nefasti effetti ambientali, sanitari e sociali. E invece di fermarsi, si continua!