Educazione sessuo-affettiva, la Lega fa dietrofront: cade il divieto alle medie

Nuovo emendamento Latini cancella il divieto assoluto per i ragazzi dagli 11 ai 14 anni. Resta l’obbligo del consenso parentale. Il centrosinistra insorge.

Roma – Dietrofront del Carroccio sul tema dell’educazione sessuo-affettiva tra i banchi. Un emendamento depositato in queste ore alla Camera cancella il divieto totale previsto per le scuole medie, modificando in corsa il disegno di legge già passato in commissione. La stretta resta, ma cambia forma: non più veto assoluto, bensì la necessità del via libera dalle famiglie.

La nuova formulazione estende alle secondarie di primo grado lo stesso meccanismo pensato per le superiori. I genitori dovranno essere informati preventivamente sui contenuti e sui materiali che verranno proposti ai figli e solo con il loro consenso esplicito gli alunni potranno assistere alle lezioni. Chi non ottiene l’autorizzazione familiare resterà fuori dall’aula durante questi percorsi.

Nessun passo indietro invece per asili ed elementari, dove l’attività rimane vietata in toto, salvo quanto già previsto dalle linee guida nazionali del ministero.

La correzione porta curiosamente la stessa firma dell’emendamento che aveva generato la bufera: quella della deputata leghista Giorgia Latini. Il relatore del provvedimento, Rossano Sasso, sempre della Lega, ha cercato di giustificare l’inversione a U parlando di “necessità di chiarire la nostra posizione”, come riferisce La Repubblica.

Rossano Sasso

Ma l’Aula di Montecitorio, dove stamattina è partito l’esame del testo sul consenso informato a scuola, si trasforma in un ring politico. Il centrosinistra compatto respinge il provvedimento governativo e annuncia una battaglia senza quartiere.

Per Irene Manzi, responsabile scuola del Partito Democratico e capogruppo dem nella commissione Cultura di Montecitorio, siamo di fronte a un attacco frontale alla libertà educativa. “Gli istituti devono rappresentare spazi di fiducia e confronto, non luoghi dove si alza la mannaia della censura. Questa legge compromette il rapporto educativo, soffoca l’autonomia didattica e priva i giovani di competenze essenziali per crescere consapevoli”, attacca senza mezzi termini, definendo il testo “inaccettabile”.

Ancora più netta la senatrice Cecilia D’Elia, sempre del Pd, che colloca la questione sul piano dei diritti fondamentali. “Parliamo di una decisione culturale ed educativa, non di battaglie ideologiche. La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza riconosce ai ragazzi il diritto a uno sviluppo equilibrato anche sotto il profilo psicofisico. Considerare questa formazione come facoltativa o sottoporla a un filtro genitoriale potenziato è espressione di una visione retrograda e chiusa della funzione scolastica”.

Anche Alleanza Verdi e Sinistra alza le barricate. Elisabetta Piccolotti, parlamentare del gruppo in commissione Cultura, accusa: “L’idea stessa di applicare il consenso informato all’istruzione rappresenta una stortura sia dal punto di vista pedagogico che costituzionale, permettendo ai nuclei familiari di sottrarre ai minori un diritto personale. Si subordina la formazione corretta alle convinzioni dei genitori, che possono essere influenzate da barriere culturali o convinzioni religiose”.

Il fronte progressista presenta un muro compatto. Anche i Cinque Stelle si schierano contro quella che Stefania Ascari definisce “una normativa bavaglio mascherata da dialogo educativo”. “Dovranno richiedere l’autorizzazione parentale per affrontare temi come l’affettività, il rispetto reciproco, il consenso. Il risultato? Classi divise tra chi può restare e chi deve andarsene perché in famiglia la pensano diversamente. Un’istruzione selettiva, dove un diritto universale diventa un privilegio per chi ha la fortuna di genitori aperti mentalmente”, denuncia la deputata grillina. “Un istituto costretto a chiedere permessi per svolgere la sua missione educativa è un istituto imbavagliato”.

Dietro la spinta legislativa sul consenso informato c’è la mobilitazione dell’associazione ProVita&Famiglia, che ha raccolto cinquantamila adesioni poi presentate a Montecitorio. Ma chi contesta il provvedimento fa notare un dettaglio procedurale fondamentale: già nell’ordinamento attuale i Consigli di istituto – dove siedono rappresentanti di genitori, insegnanti e studenti – esaminano e devono approvare annualmente la programmazione delle attività extracurriculari proposte. Un controllo collegiale e democratico che, secondo le opposizioni, garantisce già trasparenza, senza bisogno di introdurre meccanismi di autorizzazione individuale che rischiano di frammentare le classi e creare disparità educative.