Tre giovani della Roma “bene” trasformano una villa in un covo di torture e morte. Una tragedia che ha scosso l’Italia e cambiato per sempre la lotta contro la violenza di genere.
Roma – Il 29 settembre 1975 segna una data spartiacque nella storia del nostro Paese. Quella sera, due giovani donne della periferia romana – Rosaria Lopez, diciannove anni, e Donatella Colasanti, diciassette – accettarono quello che credevano fosse un invito innocente a una festa. Non sapevano di essere state scelte come vittime sacrificali da tre ragazzi che incarnavano il volto più oscuro della borghesia romana.
L’inganno e la trappola sociale
L’incontro avvenne al bar del Fungo all’EUR, punto di ritrovo della gioventù romana. Qui, Rosaria e Donatella, abitanti della borgata della Montagnola – quartiere popolare del sud della capitale – conobbero Angelo Izzo, 20 anni, studente di Medicina, e Gianni Guido, 19 anni, iscritto ad Architettura. I due si presentarono come facoltosi giovani in cerca di compagnia per una serata a Lavinio.

Quello che le ragazze non potevano immaginare era che dietro quei volti apparentemente educati si celassero criminali già formati. Izzo aveva alle spalle una condanna per rapina a mano armata e una per stupro di gruppo su due minorenni, pena mai scontata grazie alle maglie larghe della giustizia dell’epoca. Entrambi militavano nei gruppi neofascisti romani e gravitavano nell’orbita della criminalità organizzata.
Villa Moresca: il teatro dell’orrore
Il 30 settembre, convinte di andare alla festa a Lavinio, le due ragazze furono condotte a Villa Moresca, proprietà della famiglia Ghira al Circeo. Qui si unì al gruppo Andrea Ghira, 22 anni, figlio di un imprenditore edile, amico di Izzo e Guido. La villa isolata divenne il palcoscenico di oltre trenta ore di torture sistematiche.

Quello che seguì rappresenta uno dei capitoli più bui della cronaca nera italiana: violenze sessuali ripetute, percosse, umiliazioni psicologiche. I tre non si limitarono alla brutalità fisica ma misero in atto un sadismo metodico che rivelò tutta la matrice ideologica del loro crimine. Non si trattava solo di violenza sessuale, ma di un vero e proprio atto punitivo contro due giovani donne colpevoli di appartenere a una classe sociale considerata inferiore.
La morte di Rosaria e il miracolo di Donatella
Rosaria Lopez fu la prima (e unica) a soccombere. Dopo ore di torture, fu trascinata al piano superiore dove, probabilmente già priva di sensi per le percosse, venne annegata nella vasca da bagno. Il suo ultimo grido, udito da Donatella, segnò la fine di una vita spezzata dalla ferocia cieca.
Donatella subì la stessa escalation di violenza: percosse con il calcio della pistola, strangolamento con una corda, colpi di spranga di ferro. Fu la sua intuizione a salvarla: fingendosi morta, riuscì a convincere i carnefici di aver raggiunto il loro obiettivo. “Questa non vuole proprio morire”, disse uno di loro appoggiandole un piede sul petto, ignaro che quelle parole sarebbero diventate la sua condanna.
Mentre Donatella agonizzava, Gianni Guido si recò tranquillamente a casa per cenare con la famiglia, per poi tornare a Villa Moresca a completare l’opera. Questo dettaglio rivela forse più di ogni altro l’abisso morale dei carnefici: la capacità di alternare la brutalità più estrema alla quotidianità borghese, come se si trattasse di attività perfettamente compatibili.
Il ritrovamento e la rivelazione
Dopo aver caricato i corpi nel bagagliaio di una Fiat 127, i tre si recarono a cena per “festeggiare” in un ristorante romano, parcheggiando l’auto in via Pola. Fu il coraggio disperato di Donatella, che trovò la forza di battere contro il portabagagli, a permettere il suo salvataggio. Un metronotte udì i rumori e chiamò i carabinieri.
L’immagine di Donatella che emerge dal bagagliaio, insanguinata ma viva, accanto al corpo senza vita dell’amica, divenne l’icona di una tragedia che scosse profondamente l’Italia. La fotografia, scattata da un reporter presente sul posto, fece il giro del mondo testimoniando la brutalità di quello che da allora sarebbe stato ricordato come il “Massacro del Circeo”.
I processi
Grazie alla testimonianza di Donatella, Angelo Izzo e Gianni Guido furono arrestati nelle ore successive. Andrea Ghira si diede alla latitanza. Il 29 luglio 1976, il tribunale di primo grado condannò tutti e tre gli imputati alla pena dell’ergastolo.

Nel 1980, nel processo d’appello, la condanna di Gianni Guido venne ridotta a trent’anni dopo un apparente pentimento. Evase nel 1981 rifugiandosi in Brasile, venne ripreso, evase nuovamente nel 1985 spostandosi tra Libano e Panama con false identità, fino all’estradizione in Italia nel 1994. Tornò libero nell’agosto 2009 dopo quattordici anni effettivi di detenzione, beneficiando di otto anni di indulto. Durante la reclusione conseguì una laurea in Lingue e Letterature Straniere.
Andrea Ghira fuggì in Spagna con il nome falso di Massimo Testa de Andres, arruolandosi nella legione straniera. Espulso per tossicodipendenza, morì di overdose a Melilla nel 1994. La sua vera identità emerse soltanto nel 2005 attraverso l’esame del DNA, confermato da una seconda perizia nel 2016 dopo i dubbi sollevati dai familiari delle vittime.
Angelo Izzo tentò più volte di evadere. Nel 1993, durante un permesso premio, fuggì in Francia ma venne rintracciato a Parigi dopo pochi mesi. Ottenuta la semilibertà nel 2003, iniziò a lavorare a Campobasso dove nel 2005 commise un secondo atroce crimine: l’omicidio di Marica Carmela Linciano e di sua figlia Valentina Maiorano, quattordicenne. Condannato nuovamente all’ergastolo, è tuttora in carcere.

Il processo agli autori del massacro del Circeo ebbe un’importanza storica e fu seguito con particolare attenzione dal movimento femminista italiano. Donatella Colasanti scelse coraggiosamente di testimoniare la verità, raccontando l’orrore vissuto insieme a Rosaria.
Dall’orrore subito però Donatella non riuscì mai completamente a riprendersi. Morì il 30 dicembre 2005, a soli 47 anni, a causa di un tumore al seno.