Nonostante il no di enti pubblici, i dubbi di diverse istituzioni dello Stato e di eminenti esperti, l’affaire Ponte sullo Stretto va avanti. E il futuro si prospetta nero come il carbone.
Gli espropri se li fa lo Stato sono leciti, altrimenti trattasi di reati! Il 6 agosto è stata approvata la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), per espropriare, anche con la forza, terreni privati per la mastodontica costruzione del Ponte sullo Stretto, in nome dell’interesse collettivo.
Il Cipess è un organismo governativo che decide come vengono spesi i soldi pubblici per progetti importanti per il Paese. Si tratta di un atto d’imperio che pur di competenza dello Stato in quando depositario della legittimità giuridica, stride con la civiltà democratica. Moltissime famiglie, tra Calabria e Sicilia, saranno costrette a vendere le proprie abitazioni non per loro libera scelta, ma perché obbligate da ordini superiori. E’ vero che saranno offerti incentivi economici, ma si tratterà di un piatto di lenticchie, perché è tipico dell’Italia concedere aziende pubbliche per pochi spiccioli (autostrade docet) ai “soliti noti”.
Si mostrano i muscoli ai poveri cristi, a cui viene comunicato “o così, o così”, che delicatezza! In dettaglio, si prevede l’esproprio in Sicilia di 448 unità immobiliari, di cui 291 case il 60% delle quali sono uniche proprietà. Si assisterà all’esodo di 175 famiglie costrette a traslocare. In Calabria le abitazioni vittime della decisione governativa ammontano a 150 circa. Sono stati investiti 215 miliardi di euro per questa operazione, ma la cifra può variare in relazione ai probabili contenziosi esaminati, poi, da un trio di tecnici ad hoc. Una sorta di terzetto musicale che suonerà, sicuramente, una sinfonia sgradita agli espropriati!
Gli espropri previsti potranno essere totali o asserviti, ossia il proprietario di un terreno perde la piena disponibilità del suo diritto di proprietà su quel bene, ma non la titolarità. Dall’approvazione della delibera si sono risvegliati i comitati “No Ponte” che oltre a dubitare del progetto in generale, criticano anche il metodo. Si parla di circa 500 famiglie che all’improvviso possono trovarsi senza un’abitazione, spesso acquistata dopo tanti sacrifici e rinunce.

Inoltre, la decisione è stata presa malgrado siano ancora in corso le valutazioni dell’organo che deve stabilire l’impatto ambientale. Manca, infine, anche il giudizio finale della Commissione Europea sulla violazione della direttiva a difesa degli ecosistemi naturali. Il caso, poi, dei vincoli predisposti all’esproprio già nel 2003 che vietavano al proprietario di edificare o ristrutturare l’immobile è tipico della “forma mentis” all’italiana. Questi vincoli dovevano avere una durata massima di 5 anni, mai rispettati perché il progetto del ponte non era definitivo.
Quindi si prorogava il tempo, al punto che sono trascorsi 2 decenni senza poter agire su quegli immobili con evidenti perdite economiche, che chissà se saranno mai risarcite, nonostante la legge lo prevedesse, perché il loro valore, nel frattempo, si è svalutato. Secondo molti esperti il progetto del ponte è scellerato, perché sarà costruito in una zona ad alta intensità sismica, con la faglia calabrese di cui una sua diramazione è stata identificata nei fondali marini dello Stretto.
E’ noto, poi, l’impatto sulla biodiversità, importante per l’ecosistema. E’ bizzarro che le azioni subiscono differenti valutazioni in base a chi le compie. Se lo Stato espropria, è lecito e legittimo perché eseguito in nome della collettività. Se però lo stesso atto viene perpetrato in nome del “proletariato”, come avveniva negli anni ’70, si parlava di furto, rapina o saccheggio. Miracoli della varietà della lingua italiana!