Illustri scienziati avrebbero acclarato che la maledetta pandemia ha colpito, indirettamente, anche chi non è stato infettato. E a risentirne di più il nostro sistema cerebrale.
La maledizione del Covid-19 continua: il cervello umano invecchia più in fretta! Certo che il maledetto virus continua a procurare danni. Non sono bastate le morti, l’isolamento, la crisi sociale e individuale succedutesi alla sua dirompente presenza. Ora anche l’invecchiamento cerebrale sembra essere più precoce.
Su Nature Communications, una rivista scientifica multidisciplinare che copre le scienze naturali, tra cui: fisica, chimica, scienze della Terra, medicina e biologia, è stato pubblicato uno studio da cui emerge che la pandemia, con molta probabilità, può aver provocato un precoce declino cognitivo anche in soggetti risparmiati dal perfido virus. L’Università di Nottingham, Regno Unito, ha confrontato una serie di immagini cerebrali prima della pandemia e dopo. Gli esaminati durante la circolazione della spietata patologia hanno mostrato un invecchiamento rilevante del cervello rispetto a quelli precedenti alla crisi sanitaria.
Sono stati utilizzati i dati messi della UK Biobank, un’ampia ricerca biomedica che raccoglie dati, campioni biologici e risonanze magnetiche di mezzo milione di partecipanti nel Regno Unito, con l’obiettivo di migliorare la prevenzione, la diagnosi e il trattamento delle malattie. È considerata una delle più grandi e dettagliate risorse di dati sanitari a livello mondiale. Le risonanze magnetiche acquisite prima e dopo il tragico evento sono state un modo, più unico che raro, di monitorare l’influsso sul cervello umano del virus.
L’età cerebrale è stata calcolata grazie all’apprendimento automatico, un’area dell’intelligenza artificiale che permette ai sistemi informatici di apprendere e migliorare dalle proprie esperienze, senza essere esplicitamente programmati. In pratica i computer analizzano grandi quantità di dati, identificano schemi e fanno previsioni o prendono decisioni autonomamente, migliorando nel tempo. Una sorta di autocoscienza informatica, che si vuole più dalla vita? Sono state confrontate le risonanze magnetiche di individui sani e privi di malattie croniche con quelle di Biobank.
L’età cerebrale del gruppo vittima del virus è stata di 5,5 mesi più vecchia rispetto all’altra. Inoltre altri aspetti, evidenziati in altri studi, hanno contribuito ad accentuare il fenomeno. Si tratta dei soliti noti: anziani e persone meno abbienti, bassa scolarità, lavoro instabile, emergenza abitativa e sanitaria. Un ulteriore conferma che la salute del cervello e in generale non significa assenza di malattie ma giocano un ruolo decisivo l’abitabilità sociale e il contesto. Infatti a subire gli effetti più devastanti sono stati coloro già disagiati.
D’altronde è così da quando l’uomo è apparso sulla faccia della terra. Chi è stato scelto dal Covid-19 ha continuato a manifestare un certo declino cognitivo, con decremento delle performance nelle prove di flessibilità mentale e rapidità di realizzazione. Gli stessi autori dello studio hanno riconosciuto che c’è bisogno di ulteriori ricerche per confermare il trend. Tuttavia, qualche speranza esiste. Allo stato dell’arte, infatti, secondo gli scienziati non è da scartare un possibile recupero cognitivo delle vittime. Resta deplorevole la constatazione che il copione recitato è sempre lo stesso.
Cambiano i modi di comunicare e il vestito con cui ci si presenta ma il finale lo si conosce a menadito. Chi è indigente soffre e crepa, gli altri se la cavano!