Dagli Stati Uniti all’Europa, il trend «Financial Independence, Retire Early» conquista i Millennials. Ma tra stipendi fermi e disuguaglianze patrimoniali, in Italia rischia di restare un miraggio.
“Non c’è più niente da fare, ma è stato bello sognare”, cantava Bobby Solo nel 1967, una delle icone della musica leggera di quegli anni. Lo stesso refrain potrebbe essere utilizzato per il movimento FIRE. Si tratta di un trend proveniente dagli Stati Uniti che si sta velocemente diffondendo in Europa. L’obiettivo dei suoi aderenti è raggiungere la libertà finanziaria molto prima della consueta età di pensionamento e smettere quindi di lavorare già a 40 anni. Da qui il nome «Financial Independence, Retire Early» (FIRE), che in italiano significa «indipendenza finanziaria, pensionamento anticipato».
Le persone che aderiscono al movimento sono perlopiù “Millennials” (i nati tra i primi anni ’80 e ’90) che vogliono costruirsi una vita completamente diversa da quella dei propri genitori o nonni e non vogliono lavorare fino a oltre 60 anni. Per farlo non devono solo risparmiare scrupolosamente, ma anche investire in modo disciplinato. L’idea è stuzzicante, bisogna valutare la sua realizzabilità. I giovani sedotti dal movimento, forse sono stati spinti dal fatto che i loro genitori hanno dovuto sudare le proverbiali 7 camicie per godersi la pensione, arrivandoci quasi stremati!

Comunque l’idea si è palesata soprattutto tra i “Wall Street bros”, ossia i seguaci della speculazione borsistica e finanziaria. Il caposaldo teorico del movimento è il principio del “4%”, secondo cui per vivere in autonomia finanziaria bisogna risparmiare un ammontare pari a 25 volte le uscite annuali. In base a questo calcolo, si può prelevare il 4% dell’investimento effettuato senza aver bisogno di lavorare e di risparmiare ancora. La teoria, inoltre, prevede investimenti atti a sostenere per lungo tempo la fatidica soglia del “4%”.
Infine, per raggiungere queste cifre, il percorso per centrare l’obiettivo è costituito da sobrietà di vita e di consumi. Forse per condurre un’esistenza parsimoniosa da giovani per godersi realmente la seconda parte della vita! Un po’ come in natura fanno le formiche regine. Ma sarà vero? Alcuni economisti sostengono che il fondamento sia abbastanza dubbioso soprattutto nel lungo periodo, a causa dell’instabilità economica e della congiuntura sfavorevole e che non sia alla portata di tutti.

Il punto controverso è la diversità tra il reddito personale e il patrimonio familiare. Il primo è la somma di tutti i guadagni che un individuo riceve in un anno, al netto delle detrazioni fiscali e dei contributi previdenziali. Il secondo è l’insieme dei beni, sia materiali che immateriali, posseduti da uno o più membri di una famiglia. Possono essere immobili, terreni, risparmi, investimenti, aziende familiari, beni mobili di valore e persino diritti su opere d’arte o brevetti. Ora è facile intuire che la provenienza da una famiglia con un patrimonio sostanzioso, a parità di stipendio con chi è sprovvisto di questa condizione, rende il tragitto molto più agevole.
Soprattutto influisce in modo determinante sull’attitudine al risparmio, fulcro del movimento. In sostanza non si parte alla pari, quindi al movimento possono accedere solo i privilegiati con un solido retroterra economico-familiare. In Paesi come l’Italia appare quasi impossibile, se si considera che i salari medi dei lavoratori sono, più o meno gli stessi degli anni ’90, mentre in Europa sono cresciuti tra il 20% e il 25%. Come sancire, in maniera inequivocabile che “Non c’è più niente da… FIRE”!