Antonio Piromalli, capo della ‘ndrangheta in galera a Parma, aveva chiesto di poter cucinare i suoi piatti oltre l’orario consentito. La Suprema Corte: “Nessuna deroga”.
Parma – Nemmeno i fusilli con la ’nduja o la struncatura ammollicata con acciughe possono aggirare le regole del 41 bis. La Corte di Cassazione ha infatti respinto il ricorso presentato da Antonio Piromalli, 53 anni, boss della ‘ndrangheta e capo della storica cosca di Gioia Tauro, attualmente detenuto nel carcere di via Burla a Parma.
A riportarlo è Tgcom, che riferisce come il rampollo di Peppe “Facciazza”, già noto per l’influenza esercitata sul mercato ortofrutticolo milanese, avesse avanzato una richiesta singolare: poter cucinare i propri piatti dopo le 22, “perché così sono abituato”. Un’istanza motivata facendo leva sulla Carta dei diritti dei detenuti, che tutela il diritto a un’alimentazione adeguata alle esigenze personali.
La direzione del carcere prima, e il Tribunale di Sorveglianza poi, avevano però bocciato la richiesta. Ora la Cassazione ha confermato la decisione: al 41 bis i fornelli si spengono alle 20, senza eccezioni.
Nessun privilegio al 41 bis
Il carcere duro, istituito per isolare i capi mafia e impedirne i contatti con l’esterno, non prevede alcun trattamento di favore. La vicenda Piromalli riporta alla memoria casi del passato, come quello ribattezzato “Gran Hotel Poggioreale”, quando alcuni detenuti di camorra potevano godere di pasti di lusso, tra aragoste e vini pregiati.
La Suprema Corte ha voluto ribadire un principio chiaro: il 41 bis non è un resort ma un regime speciale, pensato per spezzare i legami criminali. Nessuna deroga, neppure per un piatto tradizionale calabrese.
La decisione chiude così definitivamente la vicenda: anche per Piromalli, la “dieta” resta ferrea.