Il procuratore di Napoli critico sulla riforma della giustizia: “La separazione delle carriere non serve, servono uffici più grandi e meno burocrazia”.
Napoli – Nicola Gratteri non nasconde la sua preoccupazione. Il procuratore nato nella Locride, simbolo mondiale della lotta alla ‘ndrangheta e da due anni alla guida della Procura di Napoli, mantiene i suoi toni franchi nell’analizzare l’emergenza carceraria italiana. I recenti fatti di Poggioreale, con l’evasione che ha fatto scalpore, sono finiti sulla sua scrivania, dato che il carcere dista pochi metri dagli uffici dei pubblici ministeri.
Sebbene non possa parlare dell’inchiesta in corso, Gratteri conferma che i due evasi sono stati catturati e che le indagini non tralasceranno alcun dettaglio. Ma è sulla situazione generale delle carceri italiane che il magistrato si sofferma con maggiore preoccupazione.
Il controllo criminale dietro le sbarre
L’aspetto che più allarma Gratteri è l’assenza di soluzioni a medio e lungo periodo per affrontare l’emergenza carceraria. Nonostante le rassicurazioni del Ministero, che persino tramite il Garante ha dichiarato che non c’è alcun allarme e che l’Italia è “nella media”, il procuratore individua problemi ben più profondi del semplice sovraffollamento.

La reale difficoltà, secondo Gratteri, risiede in un sistema organizzativo che affonda le radici negli anni e che ha portato al progressivo controllo delle carceri da parte dei detenuti di alto spessore. Questi boss ordinano ai detenuti più deboli una serie di “favori”: dall’ambasciata all’esterno al trasporto di cellulari, fino alla custodia di armi. I detenuti più fragili si trovano così schiacciati in una morsa: rischiano infrazioni disciplinari se vengono scoperti, oppure gravi ripercussioni sulla loro incolumità se si rifiutano di collaborare.
Il paradosso del sistema è evidente: le relazioni comportamentali sui boss li descrivono come soggetti irreprensibili in carcere, permettendo loro di fruire di tutti i benefici di legge, mentre i detenuti deboli, costretti ai desiderata dei primi, non possono aspirarvi. Questa dinamica, spesso ignorata, rappresenta una delle condizioni che può portare ai suicidi.
Svuotacarceri: soluzione temporanea
Sui provvedimenti svuotacarceri, tema che divide anche la destra, Gratteri è scettico. L’esperienza insegna che dopo provvedimenti di indulto, nel giro di un anno si torna al punto di partenza. Per questo propone un intervento su tre direttrici: associare i detenuti tossicodipendenti alle comunità di recupero, ampliare le carceri esistenti e ripianare con urgenza gli organici di polizia penitenziaria.
Governo e lotta antimafia: luci e ombre
Sulla lotta antimafia, settore in cui Gratteri è in trincea da quasi 40 anni, il magistrato mantiene un approccio obiettivo nei confronti dell’attuale governo. Precisa che nessuno chiede ai governi di dare una mano ai magistrati ma solo di provvedere a riforme che diano certezza del diritto, tutelando innanzitutto le vittime dei reati senza forzature che nuocciano agli indagati.
Inizialmente aveva visto con favore le riforme sulle intercettazioni per reati contro la criminalità organizzata e quelle sulla cybersicurezza. Tuttavia, si è dovuto ricredere di fronte all’abolizione dell’abuso di ufficio, all’interrogatorio preventivo prima della misura cautelare e alla stretta sulle proroghe delle intercettazioni. La percezione è che “il controllore non voglia essere controllato”, e questo va solo a danno della collettività.
Separazione delle carriere: “Non serve”
Sulla separazione delle carriere, riforma contro la quale ha scioperato e che tornerà presto alla Camera per l’ultima lettura, Gratteri è netto: non serve. La riforma non incide in alcun modo sui veri problemi della giustizia, in particolare sui tempi e la qualità delle decisioni. I magistrati devono essere messi nelle condizioni di decidere presto e soprattutto bene, senza perdere tempo dietro a meri orpelli procedurali.

Il magistrato critica anche le ultime strette sul sequestro dei cellulari e delle memorie dei pc. La riforma in discussione in Parlamento introduce ben tre provvedimenti di sequestro, due dei quali del giudice, a fronte della legge attuale che ne prevede uno solo. La situazione, secondo Gratteri, non potrà che peggiorare. Eppure, sottolinea, “nelle memorie c’è la vita delle persone e per catturare i delinquenti lì dobbiamo scavare noi”.
La ricetta per una giustizia migliore
Per Gratteri, la giustizia ha bisogno di una seria riforma delle circoscrizioni giudiziarie che elimini uffici piccoli e inefficienti in favore di uffici di medie e grandi dimensioni dove si garantisca la specializzazione per decisioni più rapide e giuste. Serve inoltre una semplificazione dei processi che elimini quelle pastoie procedurali inutili e defatiganti. Il magistrato deve impiegare tutto il suo tempo disponibile a esaminare le carte e a scrivere motivazioni congrue ed esaustive, non a sequestrare tre volte la memoria dello stesso cellulare.
L’unico aspetto della riforma che condivide è il sorteggio dei membri togati e laici nei Csm. Non si tratta di un’ammissione di colpa, precisa, perché un magistrato immune da procedimenti disciplinari, così come è in grado di decidere una causa dando ragione a una parte e torto all’altra, è anche in grado di stabilire in un Csm chi è il miglior procuratore, valutando tutti i candidati.
In vista del referendum, Gratteri ribadisce la necessità di informare i cittadini con tutti i mezzi consentiti dalla legge sulle storture, sui pericoli della riforma della separazione delle carriere e sulla sua inutilità rispetto alle reali esigenze.