Cristiano Aprile: omicidio senza movente e senza logica

Continua l’analisi di uno dei cold case più controversi della cronaca nera del Bel Paese. Le persone coinvolte nelle prime fasi dell’inchiesta e quelle rimaste fuori.

Roma – Fiorella Baroncelli, la madre del piccolo Cristiano, apre per la seconda volta  la porta di casa al ragazzo dal volto pallido. È successo una prima volta qualche giorno prima e riaccade il 24 febbraio, il giorno in cui perderà la vita il figlio più piccolo degli Aprile. Perché la madre l’ha fatto entrare nuovamente in casa, se nel primo incontro aveva chiesto un libro che gli sarebbe servito per l’interrogazione del giorno successivo? Sono tanti gli interrogativi da porsi su questo caso rimasto irrisolto per quasi quarant’anni.

Com’è possibile che un assassino, visto a volto scoperto per più volte dalle vittime e da altri testimoni oculari, il cui identikit è stato diffuso in tutto in quartiere in cui ha commesso il crimine, sia riuscito a passare inosservato e scomparire nel nulla per così tanti anni? Sono numerose le ambiguità e le ombre che negli anni si sono cementate tra le carte delle indagini di questo caso.

Più si leggono i verbali e si analizzano le dichiarazioni dei testimoni, più emergono contraddizioni e versioni contrastanti. Mentre si cerca l’unica risposta, attesa da anni, come il nome dell’assassino, compaiono sempre più domande destinate, anch’esse, a rimanere insolute.

Il terribile omicidio di via Levanna

La prima volta che il terrore bussò alla porta

Ogni volta che l’aggressore si presenta in casa Aprile non citofona mai. Si fa trovare direttamente all’ingresso dell’appartamento, attirando l’attenzione suonando il campanello della porta. La prima volta che incontrerà la famiglia Aprile sarà qualche giorno prima che il piccolo Cristiano perderà la vita. Ma esattamente quando?

Qualche giorno prima dell’aggressione, non ricordo bene, ma mi sembra sette o otto giorni prima”, sostiene Giada Aprile in Questura il 6 marzo 1987. “Circa cinque o sei giorni prima dell’aggressione”, afferma Fiorella Baroncelli dal letto del Policlinico Umberto I, mentre è ancora ricoverata nel reparto di Chirurgia donne.

Le due versioni con coincidono, ma a chiarire le tempistiche è la testimonianza della signora Marcela, condomina dello stabile di via Levanna 35, che riconobbe il ragazzo dall’identikit (mostrato dalla Polizia a chiunque abitasse nel palazzo degli Aprile).

Marcela, una settimana prima dell’omicidio, pare abbia visto una persona dall’aspetto poco rassicurante sostare davanti alla palazzina, era il 17 febbraio. Lo ricorda bene perché quel giorno coincideva con alcuni accadimenti personali. La donna descrive la sua presenza come inquietante e paurosa. Dichiara poi di averlo rivisto il giorno dopo entrare nel condominio. Dunque, la prima visita alla famiglia Aprile potrebbe essere stata fatta il 18 febbraio.

Chi ha aiutato il ragazzo che “parlava sempre piano” a cercare il libro di elettrotecnica?

Un’altra ambiguità relativa al primo incontro con l’assassino è la dinamica con cui si è svolto. Quali componenti della famiglia Aprile hanno accolto in casa il misterioso studente? In quanti si sono prestati di aiutarlo nella ricerca del libro di elettotecnica?

È venuto a casa nostra un ragazzo che, dopo aver suonato, chiese a mia madre, che era andata ad aprire, un libro. Non ricordo se lo sentii dire di essere uno studente o se questo mi è stato raccontato da mia madre. Io mi trovavo in cucina, stavo mangiando insieme a Cristiano e mia mandre accompagnò il ragazzo nel salone per cercare questo libro. Sembrava strano, seccato per non aver trovato il libro. Sembrava scuro in volto, parlava sempre piano ed aveva un comportamento che non mi piacque”. Questa è la versione di Giada.

Fiorella Baroncelli e la figlia Giada all’epoca dei fatti

Completamente differente la tesi della Baroncelli. “Sentii suonare il campanello della porta senza che prima ci fosse stato il suono del citofono. Andai ad aprire, sarà stata circa l’una o forse le due. Un ragazzo giovane mi disse di essere un allievo di mio marito. Era venuto a prendere un libro di elettrotecnica. Lo feci entrare e lo aiutai a cercare questo libro. Il ragazzo sembrava disperato dall’idea di non potersi preparare per l’interrogazione del giorno successivo senza quel libro. Anche mia figlia Giada ci aiutò a cercare il libro che non trovammo”.

Perché Valerio Aprile è stato lasciato all’oscuro?

In merito alla circostanza della prima visita, la Baroncelli sostiene che il giovane non le aveva dato idea di essere “né un tossicodipendennte, né ha guardato in giro per la casa con fare circospetto, come per studiare l’ambiente che lo circondava. Sembrava veramente interessato al libro”.

Giada ammette che sia lei che la madre si sono dimenticate di riferire l’accaduto a Valerio Aprile. Addirittura, la quindicenne dichiara “Mia madre non mi è sembrata né insospettita né turbata in qualche modo dalla visita del ragazzo”. Una dimenticanza fatale.

Il professor Aprile, nel rapporto giudiziario del 23 marzo, sostiene di non sapere che il giovane si fosse già presentato in casa per chiedere il libro di elettrotecnica. Tuttavia, aggiunge che questa circostanza non si sarebbe dovuta considerare un fatto singolare, poiché la sua casa era frequentata da vari studenti che seguivano le sue lezioni private. Se effettivamente il giovane sembrava interessato al libro, la cui ricerca era risultata vana, perché non aiutarlo nel comunicare a Valerio Aprile che un suo studente stava cercando il manuale di elettrotecnica per l’interrogazione del giorno dopo?

Sarà stata una semplice dimenticanza da parte di madre e figlia? Oppure tra i coniugi non c’era molto dialogo e un’informazione di questo tipo è stata considerata di poca importanza?

L’identikit del killer

L’interrogazione sine die

Nella puntata di Telefono Giallo, incentrata sull’omicidio del piccolo Cristiano e andata in onda il 22 aprile 1988, in un monologo trasmesso a spezzoni, si può osservare Fiorella Baroncelli che descrive la mattina del 24 febbraio dell’anno prima.

Alle 8.20-8.30 circa, una scampanellata. Io non ero del parere di aprire, ma la scampanellata era insistente”.

Fiorella Baroncelli, nel verbale del 3 marzo 1987, raccontando il secondo incontro con l’aggressore, dichiara che dopo essersi svegliata per preparare la colazione per la famiglia, dopo aver svegliato Cristiano e avergli preparato la cartella e i vestiti e averlo sollecitato per andare a scuola, si rimette a letto accanto alla figlia Giada, che dormiva con lei.

Poi aggiunge: “Ho sentito suonare alla porta più volte. Anche questa volta non c’è stata la preventiva chiamata al citofono. Il campanello ha suonato quattro volte. Mi sono trovata davanti nuovamente lo stesso ragazzo. Lui mi ha tranquillizzata dicendomi che aveva parlato con mio marito e che lui aveva detto di aver lasciato il libro sulla scrivania. L’ho fatto entrare”.

Perché la Baroncelli ha aperto nuovamente la porta di casa al presunto studente? Come mai la scusa del libro le è sembrata ancora credibile? Il giovane non avrebbe dovuto sostenere l’interrogazione il giorno successivo al primo incontro?

Via Levanna, quartiere Monte Sacro

È bene ricordare che nel 1985 la Baroncelli era stata seguita da un rapinatore fino all’interno del suo appartamento e aveva subito in furto. In seguito, erano state messe le inferriate alle finestre ed era stato raccomandato ai figli di non aprire a nessuno.

Per quale ragione, dunque, c’è stata così tanta leggerezza nell’esporre la propria famiglia ad un possibile pericolo? Perché è stata aperta la porta di casa in un orario mattutino in cui è abbastanza improbabile ricevere ospiti, come lei stessa ammise?

(Fine seconda parte)

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