Un’indagine del CNG rivela che il 60% degli under 34 vive l’amore con ansia e apprensione. E spesso senza riconoscerlo.
Sono trascorsi millenni da quando l’uomo è apparso sulla faccia della terra, di acqua sotto i ponti ne è passata in abbondanza. Tante sono state le conquiste tecnologiche e sociali, almeno in una parte del pianeta, ma l’unico sentimento che ha resistito a tutte le intemperie della storia è l’amore, un sentimento trasmesso in modalità diverse, perché diversi sono stati i paradigmi culturali delle varie epoche storiche. Il sentimento è sopravvissuto alla furia devastatrice della tecnologia e resta lì fisso, stagliato, netto, a reclamare il suo posto nel mondo.
Nell’era di internet le relazioni degli under 34 sono state dichiarate “turbolenti” per il 48% degli intervistati. Quota che è salita al 56% tra i ragazzi nella fascia d’età 18-24 anni. E’ il risultato di un’indagine del Consiglio Nazionale dei Giovani (CNG) e dell’Istituto Piepoli. Il primo è l’organo consultivo cui è demandata la rappresentanza dei giovani nel rapporto con le Istituzioni per ogni confronto politico. Il secondo è una società di ricerche di Marketing e di Opinione. L’obiettivo della ricerca è verificare come i giovani vivono l’amore, le loro paure, le pressioni che subiscono e le aspettative che influiscono sulla relazione. Perché, forse, è proprio tra i dettagli nascosti dell’intimità che si nascondono relazioni malsane, basate sul divario di potere, da cui, spesso, scaturiscono soprusi psicologici.

Molti under 34 hanno dichiarato di aver vissuto relazioni tossiche e il 15% si trova ancora in una situazione del genere. Un malessere che serpeggia in modo subdolo, tanto che il 60% vive i rapporti sentimentali con molta ansia, soprattutto tra i più giovani e le donne. Secondo gli autori dello studio questo fenomeno non può essere sottovalutato. I ragazzi vanno condotti nello sviluppo dell’affettività e a riconoscere i vari aspetti della violenza, che non è solo fisica, ma anche psicologica, fatta di minacce, insulti, vessazioni. E’ emersa un’incongruenza tra la percezione personale dell’ansia e quella collettiva, a significare che si ha coscienza del fenomeno quanto riguarda il gruppo, molto meno nel captare il segnale di una propria storia complicata. Si tende a non vedere le difficoltà soggettive, ma si riesce ad essere molto critici nei riguardi delle storie che si sviluppano intorno.

Le reazioni comportamentali si manifestano o nel parlare col proprio partner, o confidandosi con un amico, mentre il 20% fa finta di niente. Le donne hanno manifestato più prontezza nel cogliere i segnali d’ansia e nel chiedere aiuto, il 36%, nei confronti dei maschi, il 10%. E’ un aspetto che dovrebbe essere preso in considerazione dalle istituzioni politiche ed educative, soprattutto di fronte alla carneficina causata dai femminicidi. Questi ultimi vanno affrontati non con misure emergenziali, ma con interventi sistematici per rivisitare le radici, la cultura e i tipi di relazioni che si instaurano già nell’adolescenza.
In questo contesto si inserisce l’indagine del CNG. La violenza in generale, e quella di genere in particolare, non sono dovute a maledizioni divine, ma sono il frutto di disuguaglianze interiorizzate e accettate come naturali e di stereotipi che continuano a lasciare le proprie tracce. Solo iniziando dalla scuola, dalla famiglia e dalle agenzie educative, organizzazioni pubbliche e private che svolgono un ruolo nella trasmissione di conoscenze, competenze e valori, si può sperare in un cambiamento radicale. Ma questa è un’altra storia!