Erano custoditi in un archivio del palazzo di giustizia di Palermo. Natoli: “Il mio operato è stato corretto”.
Palermo – Un tassello importante del puzzle giudiziario che ruota attorno all’inchiesta mafia e appalti è stato finalmente ricomposto. I brogliacci delle intercettazioni, da tempo considerati tra i pezzi mancanti del caso, sono stati ritrovati mercoledì scorso dagli investigatori del G.I.C.O. del nucleo di polizia economico finanziaria di Caltanissetta. I documenti erano custoditi in un archivio del palazzo di giustizia di Palermo, contenuti in quattro di colore giallo con ancora i timbri della Guardia di Finanza apposti nel 1992, ricoperte di polvere e lasciate a terra.
La scoperta assume particolare rilevanza nell’ambito dell’inchiesta condotta da oltre due anni dalla Procura di Caltanissetta, diretta da Salvatore De Luca, che indaga su un presunto insabbiamento di un fascicolo riguardante le infiltrazioni di Cosa Nostra nelle aziende del Gruppo Ferruzzi. Sotto accusa per favoreggiamento si trovano gli ex sostituti procuratori Gioacchino Natoli e Giuseppe Pignatone, oltre al generale della Guardia di Finanza Stefano Screpanti.
Il presunto legame tra Cosa Nostra e il colosso Ferruzzi
L’inchiesta originaria, che vide coinvolto anche Paolo Borsellino prima della sua uccisione, riguardava i presunti rapporti fra i mafiosi palermitani Antonino Buscemi e Francesco Bonura e il gruppo guidato da Raul Gardini. Il caso si inseriva in un contesto più ampio di infiltrazioni mafiose nel mondo degli appalti e della grande imprenditoria italiana degli anni Novanta.

Il legame tra la mafia siciliana e il gruppo Ferruzzi emergeva attraverso la Sam-Imeg, che controllava il 65% delle cave e della lavorazione del marmo di Carrara. All’epoca, Gardini ottenne un’offerta di favore dall’Eni, con il primo grande affare rappresentato da un contratto per la desolforazione delle centrali. Gli imprenditori mafiosi Franco Bonura e i fratelli Salvatore e Antonino Buscemi erano riusciti a fare affari con il gruppo Ferruzzi, potendo contare sulle soffiate giuste.
Le intercettazioni “dimenticate” e l’insabbiamento
Le intercettazioni documentavano i tentativi di penetrazione della criminalità organizzata nel mondo degli appalti pubblici e privati, settore tradizionalmente di grande interesse per le cosche mafiose per il controllo del territorio e dei flussi economici. Secondo l’accusa, magistrati e investigatori avrebbero consapevolmente ignorato quanto emergeva dalle intercettazioni, che spaziavano dagli affari degli imprenditori mafiosi al tentativo di aggiustamento di un processo per omicidio a carico del capomafia Franco Bonura, con la presunta complicità dell’esponente politico democristiano Ernesto Di Fresco.
Il ritrovamento dei brogliacci rivela un aspetto cruciale della vicenda: nei documenti erano annotati diversi spunti di indagine, contraddicendo le dichiarazioni di Natoli, che aveva sempre sostenuto di non aver saputo nulla “perché dalle intercettazioni non emergevano elementi rilevanti”. L’ex pm aveva inoltre firmato il provvedimento per smagnetizzare le bobine delle intercettazioni e distruggere i brogliacci, sostenendo poi che la frase “e la distruzione dei brogliacci” fosse stata aggiunta dopo il deposito dell’atto.
Il tentativo di distruzione delle prove
La Procura di Caltanissetta accusa Natoli di calunnia per aver incolpato ingiustamente Damiano Galati, responsabile amministrativo del Centro Intercettazioni. Fortunatamente, i funzionari non diedero seguito alla richiesta di smagnetizzazione, permettendo al Gico di Caltanissetta di recuperare e riascoltare tutte le intercettazioni. Questa scoperta si aggiunge a quella di una nota dell’allora capitano Screpanti, rinvenuta mesi fa dai finanzieri del comando provinciale nisseno diretti dal colonnello Stefano Gesuelli, in cui si faceva riferimento alle perplessità dei magistrati su questa indagine.

L’interrogatorio di Natoli e le difese
Ieri, l’ex presidente della corte d’appello di Palermo Gioacchino Natoli è stato ascoltato per dodici ore dai magistrati di Caltanissetta. L’ex pm del pool antimafia di Palermo è indagato per favoreggiamento alla mafia e calunnia, assistito dagli avvocati Fabrizio Biondo, Ninni Reina ed Ettore Zanoni. Durante l’interrogatorio ha ribadito la correttezza del suo operato, dopo aver depositato nei mesi scorsi delle memorie difensive.

Anche Giuseppe Pignatone, che oggi presiede il tribunale della Città del Vaticano, si è dichiarato “innocente in ordine al reato ipotizzato”.
L’accusa di “indagine apparente”
L’accusa formulata dai pm di Caltanissetta è pesante e dettagliata. Secondo la Procura di Caltanissetta, l’ex capo degli inquirenti di Palermo avrebbe insabbiato l’indagine scaturita dalla segnalazione di un collega di Massa-Carrara. A Natoli viene contestato di aver svolto, nell’ambito del procedimento 3589/1991 aperto a Palermo, una “indagine apparente”, autorizzando intercettazioni telefoniche per un periodo troppo breve (inferiore ai 40 giorni per la quasi totalità dei target) e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione.
Ma l’aspetto più grave riguarda la presunta decisione, presa “d’intesa con l’ufficiale della Guardia di Finanza Screpanti”, di non trascrivere conversazioni particolarmente rilevanti. Da queste intercettazioni emergeva la messa a disposizione di Di Fresco in favore di Bonura e una concreta ipotesi di aggiustamento del processo per duplice omicidio pendente contro lo stesso Bonura davanti alla Corte d’Assise di Appello di Palermo.
Il contesto storico e i collegamenti con le stragi
L’inquinamento dell’indagine e la successiva archiviazione sarebbe stata finalizzata, secondo l’accusa, ad aiutare imprenditori mafiosi come Antonino Buscemi e Francesco Bonura a eludere gli accertamenti degli investigatori. Il caso mafia e appalti si inserisce in un periodo cruciale della storia italiana, caratterizzato dalle stragi mafiose del 1992 e dall’avvento di Tangentopoli.

L’inchiesta aveva una portata nazionale che andava ben oltre i confini siciliani, coinvolgendo i vertici del colosso Ferruzzi e toccando gli interessi economici più significativi del Paese. La presunta copertura dell’indagine assumerebbe quindi una valenza sistemica, legata alla protezione di interessi economici e politici di primo piano.
Il ritrovamento dei brogliacci rappresenta una svolta nell’inchiesta, fornendo nuovi elementi che potrebbero chiarire definitivamente se vi sia stato o meno un deliberato insabbiamento di prove decisive per la lotta alla mafia negli anni Novanta. La vicenda evidenzia anche le tensioni tra diversi uffici inquirenti, con una distanza che diventa incolmabile se si osservano le attività investigative dei due uffici, quello di Firenze e quello di Caltanissetta.
L’inchiesta della Procura nissena continua a scavare in uno dei capitoli più oscuri della storia giudiziaria italiana, con la speranza che la verità su “Mafia e Appalti” possa finalmente emergere dopo oltre trent’anni di ombre e silenzi.