ruggero pascoli

La fine della fanciullezza: il delitto di Ruggero Pascoli

Tra politica, interessi economici e omertà: il mistero dell’omicidio che cambiò per sempre la vita del poeta Giovanni Pascoli.

Savignano sul Rubicone – Era il 10 agosto 1867 quando Ruggero Pascoli, padre del poeta, venne freddato da una fucilata al petto mentre rincasava a bordo del suo carretto a traino, in quel di Savignano. Brigantaggio? Omicidio politico o piuttosto una questione di affari? Nel 2014, dopo 145 anni, giunsero i primi simbolici verdetti di colpevolezza. L’omicidio Pascoli è dunque un caso chiuso?

Il contesto sociale

Nel 1867 la bassa Romagnola è un territorio ruvido e ostile. Culla paludosa di generazioni di braccianti e allevatori votati alla sopravvivenza, in un susseguirsi eterno e immutabile di lune crescenti, lune calanti e preghiere per un buon raccolto. L’estrazione sociale della famiglia Pascoli permette ai suoi numerosi membri di vivere una vita piuttosto agiata rispetto alla maggioranza del volgo ma non li esenta dall’essere, essi stessi, un ingranaggio di quel complicatissimo tessuto sociale innestatosi nelle campagne romagnole a metà del XIX secolo.

Ruggero Pascoli è un politico locale di corrente repubblicana nonché gestore della nota tenuta “La Torre”. Proprio questi due aspetti della vita di Pascoli, secondo gli inquirenti, potrebbero essere la causa della sua esecuzione, avvenuta il 10 agosto del 1867. Di ritorno da Cesena, Ruggero Pascoli cade vittima di un agguato, durante il quale verrà freddato con una fucilata in pieno petto. S’indaga su alcuni agitatori politici di Cesena che, secondo le prime ricostruzioni, non avrebbero perdonato alla vittima il fatto di avere abbandonato le battaglie repubblicane per passare dalla parte dei liberali.

S’indaga altresì sul ruolo giocato dalla tenuta “La Torre” e dalla mansione che il Pascoli ricopriva all’interno del podere. Nessuno si aspetta che le prime verità processuali riguardo l’omicidio che mise definitivamente fine alla fanciullezza di Giovanni Pascoli arriveranno più di un secolo dopo.

L’omicidio

Al tempo Ruggero Pascoli, oltre a ricoprire più volte il ruolo di assessore comunale come esponente del partito repubblicano del paese, è amministratore della tenuta agricola “La Torre” dei principi Torlonia. I discreti guadagni permettono a lui e alla numerosa famiglia, ben dieci i figli nati dalla moglie Caterina Vincenzi, un tenore di vita piuttosto agiato. Una condizione che alimenterà numerose invidie e malcontenti tra i concittadini più indigenti.

Le disponibilità economiche della famiglia Pascoli permettono addirittura al futuro poeta dodicenne di studiare presso il collegio degli Scolopi di Urbino. La sera del 10 agosto 1867, Ruggero avrebbe dovuto incontrare l’ingegnere Achille Petri, un inviato dei Torlonia, per rinnovare l’incarico di amministratore. Quell’appuntamento non avrà mai luogo poiché l’ingegnere non si presenta all’incontro. La stessa sera Ruggero Pascoli viene assassinato con una fucilata da due sicari appostati all’altezza di Savignano. L’uomo sta rincasando a bordo del suo calesse quando rimane vittima dell’agguato. Il brigantaggio è una vera e propria piaga nella zona e non è la prima volta che un fattore viene ucciso dalla criminalità locale. Questa volta però l’aria di omertà sembra essere più greve. La gente del luogo forse conosce l’identità del responsabile ma tace per paura di ritorsioni.

I sospetti

Le prime ricostruzioni degli organi inquirenti battono la pista politica: due sovversivi di Cesena, gravitanti intorno ai movimenti di sinistra, vengono sottoposti a fermo. Si tratta di Luigi Pagliarani detto Pajarèn, soprannominato Bigeca o Bigecca, e Michele Della Rocca. I due vengono indagati per omicidio.

Il movente andrebbe ricercato nel presunto tradimento che la vittima avrebbe rappresentato negli ambienti anarchici e di estrema sinistra. Ruggero Pascoli aveva abbandonato la fede repubblicana in nome di una rinascita liberale, forse per interessi personali, condannandosi, di fatto, alla morte. La suggestione dell’omicidio politico viene perseguita ma le prove non ci sono e i due indagati vengono prosciolti da ogni accusa. La verità va dunque cercata altrove.

Tra i braccianti del luogo si vocifera che Pascoli, in qualità di agente e amministratore della tenuta dei principi Torlonia, possa aver ostacolato qualche potente malavitoso della zona, forse un contrabbandiere. Il figlio Giovanni, fin da subito riluttante all’ipotesi dell’omicidio politico, come il resto della famiglia, si cimenta in  alcune indagini personali giungendo alla conclusione che ben due sicari avessero agito su incarico di Pietro Cacciaguerra, dispotico e aggressivo signorotto locale, che aveva già avuto dei contrasti con Ruggero riguardo l’amministrazione della tenuta.

Cacciaguerra emigrò in Sudamerica qualche anno prima del delitto e lì fece fortuna. Qualche anno dopo tornò a Savignano. Tornato in Romagna, divenne un ricco possidente e, l’anno dopo l’omicidio, venne nominato amministratore, per volere proprio dell’ingegnere Achille Petri. Secondo Giovanni Pascoli, la stessa polizia del posto fu colpevole di omertà riguardo l’omicidio del padre.

Il poeta Giovanni Pascoli

Le condanne dopo 145 anni

L’ipotesi che nel susseguirsi degli anni è apparsa più concreta vede Pietro Cacciaguerra, mandante del delitto, e Michele Della Rocca e Luigi Pagliarani, due sicari prezzolati, esecutori dell’omicidio: quest’ultimo avrebbe sparato l’unico micidiale colpo. Secondo la suddetta ipotesi, Cacciaguerra avrebbe speculato sui terreni da vendere ai Torlonia, ma Ruggero Pascoli, una volta scoperto il reato, avrebbe reagito mettendosi in mezzo.

Questa la tesi dell’accusa che nel 2001, durante un processo simbolico, non reggerà in aula, portando all’assoluzione di tutti gli imputati. Si dovrà attendere fino al 2014 quando, durante l’altrettanto simbolica revisione del processo, verrà ribaltata la sentenza di primo grado e riconosciuta la colpevolezza di Pietro Cacciaguerra, in quanto mandante dell’omicidio, e di Michele della Rocca e Luigi Pagliarani in quanto eaecutori materiali. Impossibile trovare un’assoluta verità processuale a distanza di quasi 150 anni, solo quella cavalla che la notte del 10 agosto 1867 trainava il calesse di Ruggero Pascoli conosce il volto dei veri assassini, quella cavalla che oggi conosciamo come la “Cavallina storna”. “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna.”

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