Novità Istat, una prostituta potrà registrarsi con il 96.99.92 e aprire la Partita Iva in quanto libera professionista. Quindi emettere fattura e pagare le tasse.
Roma – Una rivoluzione silenziosa sta scuotendo il panorama fiscale italiano: prostitute, escort e organizzatori di servizi sessuali potranno iscriversi alla Camera di Commercio con un codice Ateco dedicato, il 96.99.92. La nuova classificazione, introdotta dall’Istat e riportata dal sito Open, inserisce queste attività sotto la voce “Servizi di incontro ed eventi simili,” aprendo un dibattito tra regolarizzazione economica e rischio di contraddizioni legali.
Nella lunga lista Ateco – il sistema che classifica le attività economiche in Italia – il codice 96.99.92 abbraccia un’ampia gamma di servizi: attività connesse alla vita sociale, come accompagnatori, escort, agenzie matrimoniali e di incontro; fornitura o organizzazione di servizi sessuali, inclusi eventi di prostituzione e gestione di locali dedicati; organizzazione di incontri, come speed networking o eventi simili.
L’obiettivo, secondo quanto emerge, è portare fuori dalla “zona grigia” fiscale la prostituzione, che in Italia non è reato se esercitata autonomamente, ma lo è se legata a sfruttamento, induzione o favoreggiamento (Legge Merlin, 1958). Con questa mossa, chi si prostituisce potrebbe aprire una partita IVA, emettere fatture e pagare tasse come qualsiasi altro lavoratore autonomo.
La novità risponde a un’esigenza di trasparenza economica. Finora, le entrate derivanti dalla prostituzione – stimate da studi come quello della Fondazione Di Vittorio in circa 4 miliardi di euro annui – sono rimaste fuori dai radar del fisco, alimentando un’economia sommersa. Il codice Ateco 96.99.92 permetterebbe di tracciare questi flussi, con prostitute ed escort che potrebbero registrarsi come “libere professioniste” alla Camera di Commercio, accedere a contributi previdenziali e dedurre spese legate all’attività, come abbigliamento o trasporti.
“L’Italia fa un passo verso la modernità fiscale,” ha commentato su X l’economista Carla Rinaldi. “Regolarizzare il lavoro sessuale sul piano tributario non significa legalizzare lo sfruttamento, ma riconoscere una realtà economica.” Una tesi sostenuta anche da associazioni come il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, che da anni chiedono tutele per chi opera nel settore.
Tuttavia, la nuova classificazione solleva interrogativi giuridici. Se prostituirsi autonomamente non è reato, organizzare servizi sessuali, gestire locali di prostituzione o trarre profitto dall’attività altrui configura illeciti penali puniti con reclusione da 4 a 8 anni e multe fino a 25.000 euro Il codice Ateco, includendo “organizzazione di eventi di prostituzione” e “gestione di locali,” sembra regolarizzare fiscalmente attività che restano vietate penalmente, creando un cortocircuito normativo.
“È una contraddizione evidente,” ha dichiarato l’avvocato penalista Marco Valerio Verni a Open. “Come può il fisco riconoscere un’attività che il codice penale punisce? Si rischia di legittimare indirettamente lo sfruttamento.” Una preoccupazione condivisa dal senatore di Fratelli d’Italia Lucio Malan, che ha annunciato un’interrogazione parlamentare: “Serve un chiarimento urgente dall’Istat e dal Ministero dell’Economia.”
L’introduzione del codice ha scatenato reazioni contrastanti. Da un lato, chi vede un’opportunità di tutela per le lavoratrici del sesso, come Pia Covre del Comitato: “Finalmente usciamo dall’ipocrisia, ma ora serve una legge che distingua chiaramente tra lavoro autonomo e sfruttamento.” Dall’altro, chi teme un’erosione della Legge Merlin, come l’associazione “Mai Più Lucrezia,” che parla di “normalizzazione fiscale di un fenomeno che resta una piaga sociale.”
L’Istat, contattato da Il Fatto Quotidiano, ha precisato che il codice Ateco “non ha valore normativo, ma descrive attività economiche esistenti,” demandando al legislatore eventuali correzioni. Intanto, la novità è operativa: da oggi, una prostituta può registrarsi con il 96.99.92, ma chi gestisce un “locale di prostituzione” rischia comunque il carcere. La palla passa ora alla politica, chiamata a sciogliere un nodo che intreccia fisco, morale e diritto.