Una legge italiana del 1912, poi dichiarata incostituzionale, stabiliva che una donna italiana che sposava uno straniero perdeva automaticamente la cittadinanza italiana se il marito era cittadino di un Paese dove le norme trasferivano il citato diritto alla consorte con il matrimonio.
Roma – ll fenomeno delle spose di guerra è emerso durante la Seconda Guerra Mondiale quando migliaia di soldati alleati si sono sposati con donne dei Paesi invasi o liberati. Tra il gennaio 1946 e il 1948 si stima che circa 200.000 donne abbiano lasciato la loro patria per trasferirsi negli Stati Uniti e in Canada. Di queste circa 100.000 erano britanniche, 20.000 tedesche e 10.000 italiane. Con l’avanzata delle truppe statunitensi in Europa e in altre nazioni il numero di matrimoni e relazioni è aumentato notevolmente. A seguito della fine del conflitto furono presentate migliaia di richieste per il trasferimento delle consorti dei soldati verso gli Stati Uniti. Per regolamentare questo fenomeno di “emigrazione affettiva”, il governo americano promulgò il War Brides Act il 28 dicembre 1945, riconoscendo il diritto degli uomini di avere con sé mogli e figli, premiando il servizio militare e promuovendo la riunificazione familiare.

Il War Brides Act stabiliva le norme per il trasferimento delle spose di guerra e dei loro figli negli Stati Uniti. Gli imbarchi delle donne italiane avvenivano inizialmente solo dal porto di Napoli e, successivamente, anche da Genova e Livorno. Per le donne italiane il trasferimento in America suscitava entusiasmo, ma comportava anche sfide significative: il matrimonio con un cittadino straniero le faceva perdere la cittadinanza italiana, obbligandole a rinunciare alla propria cultura e identità. Questo era previsto dall’art. 10 della legge 13 giugno 1912, n. 555, che stabiliva che una donna italiana che sposava uno straniero perdeva automaticamente la cittadinanza italiana se il marito era cittadino di un paese la cui legge trasferiva la cittadinanza alla moglie attraverso il matrimonio.

Questa norma è stata dichiarata incostituzionale nel 1975 per la parte in cui specificava la perdita automatica della cittadinanza italiana per le donne che sposavano uno straniero. Nel 1983, la norma che limitava la trasmissione della cittadinanza ai soli uomini è stata anch’essa dichiarata incostituzionale. Con la dichiarazione di incostituzionalità di queste disposizioni, le donne che avevano perso la cittadinanza italiana a seguito di matrimonio con uno straniero e i loro discendenti possono oggi chiedere il recupero della cittadinanza italiana in sede giudiziaria, in conformità con la nostra Carta costituzionale.