Al centro le menzogne che hanno oscurato la verità sull’attentato, avvenuto 32 anni fa, al giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.
Palermo – A 32 anni dall’attentato di Via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, il depistaggio che ne seguì rimane uno dei capitoli più oscuri della storia italiana. Il GUP di Caltanissetta ha disposto il rinvio a giudizio per quattro agenti di polizia – Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli – accusati di depistaggio.
Gli agenti, appartenenti al pool “Falcone-Borsellino” della Squadra Mobile di Palermo, avrebbero mentito e omesso dettagli chiave testimoniando nei processi sull’inquinamento delle indagini relative alla strage. In particolare, avrebbero contribuito a coprire il depistaggio creato da altri funzionari, che costruirono una falsa verità utilizzando un pentito inattendibile, Vincenzo Scarantino. Questo errore giudiziario portò alla condanna ingiusta di sette innocenti, successivamente scagionati grazie al collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza.
Durante le udienze preliminari, il GUP ha accolto la richiesta di citare come responsabili civili il Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio. In caso di condanna, lo Stato potrebbe essere chiamato a risarcire le vittime del depistaggio.
Gli agenti accusati hanno ammesso l’esistenza del depistaggio, ma sostengono la propria innocenza, indicando responsabilità più alte all’interno delle istituzioni. Uno degli imputati, Maurizio Zerilli, ha utilizzato 121 “non ricordo” durante la sua testimonianza, suscitando l’interesse dei magistrati e delle parti civili.
Il processo, che inizierà a metà dicembre, punta a chiarire le responsabilità istituzionali dietro uno dei più gravi depistaggi della storia repubblicana. Nonostante il tempo trascorso, la ricerca della verità rimane cruciale per rendere giustizia alle vittime e alla memoria del giudice Paolo Borsellino.