Benefici da 312 miliardi l’anno: made in Italy con l’export potrebbe crescere fino a 121 miliardi tra ingegneria meccanica e farmaceutica.
Roma – L’Intelligenza Artificiale (IA) dovrebbe incrementare il PIL, però mancano le competenze! Lo storytelling ricorrente, da qualche tempo, si fonda sulle virtù salvifiche e taumaturgiche dell’IA e che produrrà benefici alla società intera. Vengono usati, infatti, termini roboanti come impatto, rivoluzione, cambio di paradigma, innovazione dirompente e simili. Il 6 novembre si è svolto, a Milano, l’evento “Competenze e Intelligenza Artificiale: Il Futuro delle Professioni”. Si è cercato di comprendere la portata dell’IA, dando per assodato che riguarderà tutti, nessuno escluso. Il focus dell’evento è stato come potenziare le competenze trasversali per restare competitivi sul mercato che cambia. Riferendosi al Sistema Italia, integrando l’IA nel nostro sistema produttivo si potrebbero produrre 321 miliardi di euro di PIL aggiuntivo per l’Italia nei prossimi 15 anni, con una crescita stimata intorno al 18,2%. Il tanto pregiato made in Italy con l’export che potrebbe crescere fino a 121 miliardi di euro, grazie, soprattutto all’ingegneria meccanica e la farmaceutica.
Si tratta di previsioni ottimistiche perché il vero “tallone d’Achille” è dovuto dalle scarse competenze in materia. In somma è come avere una Ferrari e non saperla guidare! Il vulnus riguarda sia l’offerta formativa che la presenza di attitudine al ruolo nel mercato del lavoro. Ma è tutta l’Unione Europea (UE) è deficitaria in questo settore, rispetto a USA e Regno Unito. Il Belpaese occupa solo il 16° posto tra i Paesi OCSE per la divulgazione di competenze connesse all’IA. Questo aspetto è esacerbato dalla fuga di cervelli anche di IA a vantaggio di Paesi che offrono condizioni professionali più allettanti. Per la cronaca l’Ocse è un’organizzazione internazionale di studi economici per paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato. Tuttavia, anche se con lentezza, le imprese italiane si stanno attivando per ridurre il divario, tanto che il 47% di esse ha visto crescere la produttività oltre il 5% e il 74% dell’1%.
Questi sporadici miglioramenti dipendono anche dai bassi investimenti, al punto che l’UE ha sostenuto solo il 4% dello sviluppo globale dell’IA, mentre gli USA il 69%. Il sistema Italia si posizione al 20° posto per investimenti nell’IA. Anche sul fronte accademico si latita, tanto che solo 2 Università italiane sono presenti tra le prime 70 al mondo per programmi di studio riferiti all’IA. Come in ogni convention che si rispetti, dopo le analisi non potevano mancare le proposte. Innanzitutto, per le competenze, è urgente un Piano Nazionale per l’Alfabetizzazione AI, dalle scuole all’Università e formazione continua in azienda. Per l’innovazione il Paese dovrà attuare una Strategia per l’Industria 5.0. Infine le istituzioni devono recitare un ruolo più importante nello sviluppo dell’IA.
Le sfide per il nostro Paese sono tante e stimolanti, ma vanno colte con entusiasmo perché l’IA (almeno secondo quando è emerso dalla convention) è uno strumento per rendere ancora più consistenti le piccole e medie imprese (PMI) e il Made in Italy. Il ritardo dell’Italia e dell’UE è notevole e per ridurlo bisogna essere mossi da una visione complessiva per una politica industriale dalla quale possa scaturire una posizione di leader nell’innovazione tecnologica. Infine, poiché la rivoluzione dell’IA è già in atto e sta cambiando i modelli aziendali e di business, urge avere competenze all’altezza del compito. Vista la situazione data, non resta che affidarsi alla “Dea Bendata” che possa essere guida positiva in questo mutamento epocale. Il contesto nazionale naviga in mari procellosi e solo un “nocchiero” affidabile, di cui non si scorge presenza, potrà portare il “vascello Italia” in porti sicuri. Altrimenti saremo prossimi al naufragio!