Prestanome, insospettabili e “donne arancia”: ecco come “giravano” gli affari di Cosa nostra in Brasile

Un Dossier di PalermoToday svela i retroscena “internazionali” dell’impero gestito dal boss Calvaruso.

Palermo – L’arresto recente di Giuseppe Calvaruso conferma che Cosa Nostra è ancora in grado di gestire complesse reti internazionali. Secondo il Dossier di PalermoToday di questa settimana, Calvaruso, capo della famiglia mafiosa di Pagliarelli, è riuscito a trasferire milioni di euro dall’Italia al Brasile grazie a una rete di prestanome, contabili e imprenditori compiacenti. Questi fondi erano il frutto di vari crimini, tra cui estorsioni ai danni di imprenditori palermitani.

Sandra Figliuolo ricostruisce l’ascesa di Calvaruso, iniziata con uno scambio di una valigetta contenente 600 mila euro in un hotel di Rimini. Il denaro fu consegnato al businessman romano Pietro Ladogana, che aveva già avviato attività imprenditoriali in Brasile. Inizialmente, Ladogana credeva di aver trovato la sua fortuna, ma divenne presto un peso per il boss. Il controllo dei fondi passò allora a Giuseppe Bruno, figlio di Francesco Bruno, già arrestato per mafia nel 1998. Per riportare i soldi in Sicilia, Bruno sfruttava la madre 73enne, che trasportò personalmente 250 mila euro, nascondendoli persino nel reggiseno.

Rosita Rijtano, invece, racconta il ruolo cruciale delle cosiddette “donne arancia”, che hanno dato il nome all’intera operazione. Si tratta di donne brasiliane, di età compresa tra i 20 e i 40 anni, che hanno prestato le loro identità per aprire società in Brasile, ufficialmente intestate a loro ma controllate da Calvaruso. Una di queste società è la pizzeria Italy’s Eireli, situata a Natal, capitale dello stato di Rio Grande do Norte. Grazie a queste donne, i fondi venivano trasferiti oltreoceano, moltiplicati e successivamente riportati in Sicilia.

Ma il Brasile non è l’unico Paese coinvolto. Già nel 2002, un narcotrafficante aveva trasportato chili di droga dal Venezuela alla Sicilia, ma da 19 anni è latitante e non è stato possibile processarlo. Nel frattempo, alcuni membri di Cosa Nostra hanno scelto di collaborare con la giustizia, come Alessandro La Dolcetta, che, stremato dalle violenze, ha rivelato le pressioni subite dal clan di Porta Nuova per vendere droga di scarsa qualità: “Era solo un mix di cocaina e gesso”.

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