Le confessioni di Giovanni Brusca: si racconta in un libro in uscita domani

In libreria un testo frutto del dialogo dell’uomo che fece saltare in aria Falcone con Don Marcello Cozzi, ex vicepresidente di Libera.

Palermo – “Mi sono chiesto tante volte cosa significa chiedere perdono per la morte del piccolo Di Matteo. Non lo so. Mi accusano spesso di non mostrare esternamente il mio pentimento, ma io so che per un omicidio come questo non c’è perdono”. Giovanni Brusca racconta della sua “consapevolezza” di avere commesso una delle peggiori atrocità negli eccidi di mafia, l’uccisione e lo scioglimento nell’acido di Giuseppe Di Matteo, allora adolescente. Il libro che appare come una confessione – e infatti parla con un sacerdote – ma che forse entra in modo nudo e crudo nella storia che tutti ormai conoscono, uscirà domani.

“Sono diventato un mostro per vendere l’anima a Cosa Nostra, perché credevo in Totò Riina, e poi scopro che voleva farmi fuori…, mi sono chiesto a cosa fosse servito fare tutto quello che avevo fatto per un uomo che io vedevo come fosse Dio in terra. è vero, Cosa Nostra scomparirà se i suoi capi resteranno senza eserciti“. Sono le parole di Giovanni Brusca – l’uomo che il 23 maggio 1992 premette il telecomando che fece saltare in aria il giudice Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta – contenute nel libro-dialogo “Uno così. Giovanni Brusca si racconta” (Edizioni San Paolo 2024), in libreria da domani 19 settembre.

Giovanni Brusca

Brusca si racconta in un lungo dialogo con don Marcello Cozzi, lucano, prete impegnato da decenni sul versante del disagio sociale, nell’educazione alla legalità, nel contrasto alle mafie e nell’accompagnamento ai pentiti di mafia e ai testimoni di giustizia. Un confronto dove non ci sono sconti sul passato di Brusca e la perdita di tante vittime innocenti, tra le quali il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta. Ma don Cozzi, da uomo di Chiesa, guarda anche alla sofferenza di ‘Caino’: “Mi porto la ferma convinzione che ‘uno così’ resta una persona, nonostante tutto, nonostante il male commesso, la morte procurata, il dolore profuso, perché – lo dico da subito – non intendo rassegnarmi all’idea che in fondo la prima vittima di un carnefice è lui stesso”, sottolinea l’ex vicepresidente di Libera.

Senza chiedere di dimenticare le sue terribili responsabilità, Giovanni Brusca si apre raccontando il suo percorso, fin dagli inizi: “Fin da bambino ho convissuto con le forze di polizia”, racconta a don Cozzi, “a causa delle frequenti perquisizioni che venivano a farci in casa. E così è stato inevitabile farmi di loro un’idea pessima; i miei genitori, infatti, me li facevano vedere come fastidiosi e cattivi, come se tutti i guai giudiziari di mio padre fossero colpa loro”. “Se avessi avuto una scuola attenta, se quelli del Comune fossero venuti a cercarmi quando in quinta elementare mio padre mi ritirò dalla scuola per mandarmi dietro alle pecore, forse la mia vita non sarebbe andata come è andata e forse io non avrei pensato che era quello l’unico modo di vivere”. Forse.

Giovanni Falcone

Riflette così sul suo passato, lui fedelissimo di Totò Riina, lui che il 23 maggio 1992 premette il telecomando causando la strage di Capaci. Ricorda anche di quando faceva il chierichetto e accompagnava il suo parroco per le benedizioni: “A un certo punto però anche quel legame con la parrocchia si interruppe”. Sul suo ultimo periodo racconta: “Mi colpì quando, uscendo dalla questura per essere portato in carcere, trovai fuori dal portone gente normale, gente onesta, che applaudiva ai poliziotti, urlava e mi gridava dietro cose irripetibili: mostro, bestia e altre cose simili. Ecco, per la prima volta toccavo con mano quello che realmente le persone pensavano di me – e confida – Quando finalmente ho preso coscienza del male che ho fatto, allora per me è stato come entrare in un incubo senza fine”.

“Leggere il viaggio che ci propone don Marcello Cozzi è avere il coraggio di spogliarsi dai pregiudizi, dal bianco e dal nero, dalla condanna scontata, dall’essere il popolo che polarizza tutto”, sottolinea nella prefazione Paolo Borrometi, giornalista che ha condotto molte inchieste sulla mafia e che per questo ha subito pesanti minacce, oggi condirettore dell’Agi.

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