Università: il governo taglia 300 milioni, ma crescono i fondi vincolanti

Una riduzione così drastica si era verificata nel 2013 col governo Monti. Indubbiamente il futuro degli Atenei non è affatto roseo.

Roma – Il governo ha deciso di stringere i cordoni della borsa per le Università. Già abbiamo il fenomeno della fuga di cervelli all’estero, ora ci si mette anche il governo a peggiorare la situazione, decidendo di chiudere i cordoni della borsa per le Università. Ai laureati che scappano dall’Italia perché non trovano lavoro, e quando riescono nell’impresa percepiscono paghe basse, si aggiungono le ristrettezze economiche per investire nella conoscenza. Come sarà formata la classe dirigente di domani in queste condizioni? Ah, saperlo! Tra voci di corridoio e spifferi che hanno attraversato ogni tipo di fessura, il colto e l’inclita sono stati informati delle indicazioni contenute nella bozza con cui il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) dovrà distribuire il Fondo di finanziamento ordinario ( Ffo) per le Università.

Si tratta di risorse da utilizzare per le spese istituzionali, i costi per il personale e per lo svolgimento delle attività che concernono agli atenei, per l’anno in corso. Il grido di dolore è stato lanciato dall’Unione degli Universitari (UDU), associazione studentesca di ispirazione sindacale. Pare che ballino 173 milioni di euro in meno rispetto all’anno scorso. A parere dell’UDU sono state ridotti i finanziamenti che dovevano essere indirizzati al fondo strutturale. Si tratta di risorse che ogni ateneo può utilizzare liberamente, secondo le proprie esigenze, come meglio crede. Il gruzzolo mancante non è irrisorio, tutt’altro: quasi 300 milioni. Sono leggermente cresciuti, invece, i fondi vincolanti, così definiti perché rispondono ad una funzione nota in partenza.

Il lieve aumento, tuttavia, non compensa le perdite summenzionate. Una riduzione così drastica si era verificata nel 2013 col governo Monti. Indubbiamente il futuro dell’Università non è, affatto, roseo e se ne va a ramengo pure la tutela del diritto allo studio, che, in realtà è da diversi anni che è in palese affanno. L’aspetto che è stato rimarcato dall’UDU è la constatazione che il fondo spettante a ciascuna Università può essere inferiore anche del 4%. Mentre l’anno scorso si ratificò che i fondi spettanti non potevano essere inferiori all’anno prima, con un aumento previsto dell’8%. Non bisogna essere ragionieri per comprendere che i bilanci delle varie Università saranno sottoposti a scosse telluriche, per cui è come ripartire dalle macerie. Secondo una stima, per recuperare l’inflazione del 2023 ci sarebbe stato bisogno di almeno 500 milioni. Al contrario, le spese militari sono state incrementate fino al 2% del PIL (Prodotto Interno Lordo, la ricchezza prodotta da uno Stato). Per le armi i soldi si trovano, per l’istruzione si sottraggono. Bell’investimento, non c’è che dire. E’ chiaro che può sembrare retorico e banale, ma corrisponde ai dati di fatto!

Gli studenti hanno manifestato una duplice preoccupazione. La prima riguarda il rischio di aumento delle tasse di iscrizione e di frequenza dei corsi universitari. La seconda è riferita ai servizi per benessere psicologico degli studenti, che per mancanza di fondo rischiano la chiusura. Quest’aspetto è emerso dopo la pandemia e nel decreto dello scorso anno erano previste, finanche, risorse per questa problematica. Ora che si è in avaria, questo tipo di servizi possono pure sparire. In un maldestro tentativo di salvarsi in calcio d’angolo, tanto per utilizzare una perifrasi del gioco del calcio, nella bozza del decreto emerge il proposito di incentivare gli sportelli antiviolenza. Però servizi di questo tipo devono procedere tutti gli anni, non uno sì e l’altro no. Il non tanto recondito pensiero di strategie politiche siffatte è che si vuole depauperare il sistema universitario pubblico, in modo da favorire quello privato, a cui possono accedere solo i rampolli, che arricchiranno il mercato immobiliare dei fuori sede danarosi. Per gli altri, la stragrande maggioranza appartenente ai ceti popolari, se saranno fortunati, ci sarà qualche piccolo Ateneo, malamente sovvenzionato, oppure la formazione con le Università telematiche. Per dire, una di Serie A e un’altra di serie B. E la chiamano democrazia!

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