Le modifiche alla legge quadro venatoria rischia di favorire la caccia di frodo e diverse associazioni venatorie che spingono per sparare anche alle specie protette. Grazie ad una certa politica che le appoggia.
Milano – Il bracconaggio è una piaga, una realtà devastante per tante specie di animali protette che, è proprio il caso di dirlo, ci “lasciano le penne”.
In Italia la caccia, regolata da una legge nazionale che recepisce una direttiva comunitaria, prevede una serie di divieti e prescrizioni che gli aficionados della dea Diana sono tenuti ad osservare.
Ci sono poi ulteriori leggi regionali che regolano l’attività venatoria affiancate da normative sulle aree protette. Nonostante siano previste sanzioni penali ed amministrative, per chi non si attiene alle regole, l’Italia è ancora terra di bracconieri. Da Nord a Sud. Aquile, falchi, poiane, gru, aironi, cicogne, lupi ed altre specie protette considerate patrimonio indisponibile dello Stato, vengono regolarmente catturati o uccisi illegalmente.
Anche specie non protette vengono seriamente messe in pericolo a caccia ferma. I cacciatori di frodo sono sempre in agguato. Non uccidono solo a fucilate ma anche con bocconi avvelenati, trappole, fionde e reti. Bracconiere è anche colui che caccia in aree protette o in tempi in cui vige il divieto venatorio o con mezzi non consentiti.
Le pene attualmente previste non disincentivano questo triste fenomeno che ha radici socio-culturali molto antiche e profonde e che resiste anche per mancanza di controlli. Le sanzioni sono lievi e prevedono tutte l’oblazione, cioè la possibilità di pagare per estinguere il reato, e la vigilanza è sottodimensionata rispetto alla numerosità dei casi.
Spesso le guardie venatorie, quelle volontarie, appartengono ad associazioni di cacciatori e di protezione ambientale e non avendo le qualifiche di polizia necessarie per contrastare il bracconaggio non possono certo costituire un ostacolo.
Inoltre la nostra legge non fa distinzione fra il singolo capo o un numero più elevato di capi abbattuti. La norma fa riferimento esclusivamente alla specie dunque anche da questo punto di vista il contrasto a questa tipologia di criminalità è praticamente nullo.
Gli episodi di illegalità venatoria sono segnalati in tutto il Paese indistintamente ma è una regione del Nord a detenere il primato negativo.
Ogni anno infatti, secondo le analisi del Cabs, la Lombardia si guadagna la maglia nera del bracconaggio, con il 31 % dei reati venatori commessi. Lo scorso novembre i carabinieri forestali hanno concluso con successo l’operazione denominata “Pettirosso”, tra le provincie di Brescia, Bergamo e Mantova.
Grazie anche alla collaborazione delle associazioni ambientaliste (Lipu, Legambiente, Cabs, Wwf e Lac), cacciatori e cittadini, 106 persone sono state denunciate a piede libero.
Sono stati sequestrati 400 dispositivi di cattura illegale e circa 2.000 capi di volatili, tra i quali 800 esemplari vivi e 1.200 morti, tutti catturati o abbattuti in modo illecito, tra cui molte specie non cacciabili o particolarmente protette da convenzioni internazionali.
Furto aggravato di fauna selvatica in quanto bene indisponibile dello Stato, ricettazione, contraffazione di pubblici sigilli, uso abusivo di sigilli destinati a pubblica autenticazione, maltrattamento di animali, uccisione di animali, detenzione non consentita di specie protette e particolarmente protette, uccellagione, esercizio della caccia con mezzi non consentiti e porto abusivo di armi, sono stati i principali reati ipotizzati. Ma qualcuno, anche se recidivo, finirà in galera?
I 106 cacciatori di frodo per catturare gli animali utilizzavano richiami elettronici, gabbie-trappole, reti da uccellagione, e altri marchingegni che causavano gravi sofferenze agli uccelli, lasciati poi agonizzanti per ore. Eppure tutto questo orrore non ha insegnato nulla ad una parte della popolazione lombarda.
Una continua modifica della legislazione sulla caccia rischia di riportare la regione più produttiva d’Italia indietro di 50 anni e favorire i cacciatori “sparatutto” lasciandoli liberi di fare il loro comodo.
Diverse associazioni venatorie, di concerto con alcuni partiti politici, spingono affinché venga introdotta la possibilità di sparare legalmente ad animali protetti e utilizzare reti e richiami per la cattura di animali vivi, come se già non lo facessero illegalmente.
Per fortuna nel marzo scorso è stata emanata una sentenza storica della Corte di Giustizia Europea: non sarà più consentito appellarsi alle tradizioni per autorizzare la caccia in deroga di specie protette. Basterà questo per far sì che trappole e reti vengano definitivamente archiviate? Crediamo proprio di no.
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