Poi ci sono gli uomini corrotti delle istituzioni, i servici deviati, le imprese conniventi e gli affiliati al di sopra di ogni sospetto sparsi dappertutto. Il tessuto sociale sta degenerando in cancrena inarrestabile.
Lamezia Terme – In Italia accadono fatti inspiegabili. Uno fra i tanti riguarda il silenzio tombale intorno al maxi processo “Rinascita Scott” che si sta svolgendo nella nuova aula bunker dell’ex area industriale di Lamezia Terme. In questa sede più di 325 imputati del clan Mancuso dovranno rispondere di 400 capi d’accusa.
Secondo solo al processo storico di Palermo del 1986, le udienze scivolano nel dimenticatoio, tra la scoperta di una nuova variante del virus e l’altra. Tra le polemiche della politica e il nuovo governo Draghi a cui auguriamo maggiori fortune rispetto a quello precedente.
Ma mentre del maxiprocesso siciliano si conoscevano i nomi dei giudici quali Pietro Grasso e Giovanni Falcone, in questo, oltre Nicola Gratteri, non si nomina nessuno dei temerari e coraggiosi pubblici ministeri. Eppure sono tutti volti giovani, freschi di nomina e provengono da tutta Italia, pronti a misurarsi e a scommettersi.
I collaboratori del maxiprocesso di Palermo erano circa una trentina, qui quasi il doppio e non sono i ”Buscetta” dell’epoca. Nessuno sa chi sia, ad esempio, l’imprenditore di Rosarno e collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio, di notevole caratura criminale, “cavaliere eletto sacrato all’interno della chiesa di Sant’Anna del Vaticano”, come lui stesso ama definirsi.
Colui che ha guidato le Procure di Reggio Calabria, Catanzaro e il Ros negli intricati labirinti della massoneria legale e non. Una massoneria distinta in due livelli: quello delle cariche istituzionali, degli intoccabili i cui nomi non potevano essere segnalati a nessuno, ma solo sussurrati all’orecchio e quelli con precedenti penali, ‘ndranghetisti compresi.
Virgiglio ha raccontato della “loggia Pitagora” con a capo Sabatino Marrazzo, contabile della ‘ndrangheta di Belvedere Spinello, terra in cui il boss Nicolino Grande Aracri aveva concentrato il fior fiore della massoneria. Marrazzo, detentore del maglietto massonico, era il custode del ”tempio” di Rocca di Neto, ricavato da un ristorante, location che non di rado adempiva a questa funzione logistica.
Eppure l’essenza massonica è racchiusa a Vibo Valentia, dove ogni 18 residenti maschi uno è un massone e dove sono attive almeno quattro ”officine” riconosciute – Monteleone, Benedetto Mussolino, Carducci e Murat – delle logge Erbert, San Mango d’Aquino e Petrolo. Ma ce ne sono molto altre.
Ma gli interrogatori dei pentiti continuano a passo di lumaca e non è ancora arrivato il turno dei collaboratori chiave e, cosi facendo, non basteranno neppure dieci anni per il primo grado del processo. Un’intera udienza è stata dedicata al collaboratore ”minore” Giuseppe Comito, la cui deposizione verteva su due capimafia neppure imputati nella vicenda, Nino Accorinti e Pantaleone Mancuso.
Non c’è stato nemmeno il tempo materiale per ascoltare Gaspare Spatuzza, uno tra i più importanti collaboratori di giustizia italiani, che ha spifferato i segreti più oscuri di Cosa Nostra ma che, in Rinascita Scott, doveva soltanto ”illustrare” elementi comuni dell’asse criminale Sicilia-Calabria.
E quando toccherà al collaborante chiave del maxiprocesso Andrea Mantella per il quale sono state programmate 15 udienze? E vogliamo aggiungere alla lista anche Emanuele Mancuso, Raffaele Moscato e Bartolomeo Arena? E gli ufficiali giudiziari del Ros centrale e del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia che hanno condotto le indagini sul campo?
Ha “cantato” anche Nicola Figliuzzi, che un anno dopo il rituale di affiliazione in carcere nel 2016, ha deciso di collaborare: “…Era il periodo di Pasqua, a Siano eravamo tutti aperti i detenuti per le festività(…). La proposta venne da Giovanni e Cristian Loielo e da Giuseppe Salvatore Mancuso. Siamo andati nella cella “sei” e lì c’è stato il rito, con una forbicetta della Chicco e bruciando un santino…”.
Negli scorsi giorni, il procuratore Gratteri ha formulato la sua ipotesi nel merito di lungaggini e dilazioni: “…Siamo di fronte ad una strategia da parte di alcuni difensori mirata a dilatare i tempi del processo…”.
Un’affermazione grave, certamente non buttata lì a casaccio. Poi però non mancano i motivi obiettivi per presupporre che si andrà avanti al rallentatore: fra gli oltre 50 pentiti che dovranno deporre, imputati e testi da sentire, interrogare e controinterrogare, i tempi saranno necessariamente lunghi. Strategie a parte.
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