Antonino Speziale tornerà uomo libero il prossimo dicembre. L'ex ultrà si è sempre professato innocente e con lui si sono schierati il suo avvocato, diversi esperti, giornalisti e gli stessi inviati de Le Iene.
Catania – A distanza di tredici anni dalla morte dell’ispettore Filippo Raciti, morto ammazzato davanti allo stadio di Catania durante gli scontri fra opposte tifoserie, rimango molti dubbi sulla vera mano assassina. Per l’omicidio del poliziotto è stato condannato a 9 anni di reclusione Antonino Speziale, ultrà all’epoca diciassettenne, ed il suo compagno Daniele Natale Micale, al tempo di 23 anni, condannato a 11 anni di reclusione, entrambi accusati di omicidio preterintenzionale.
Raciti sarebbe stato colpito da un sotto-lavello di lamierino che gli avrebbe maciullato il fegato provocandone la morte dopo un paio d’ore di agonia. Su questa tesi, confermata nei tre gradi di giudizio, sono stati espressi forti dubbi e in molti, non solo dunque la famiglia, l’avvocato difensore Giuseppe Lipera ed altri esperti, avevano avanzato l’ipotesi del cosiddetto “fuoco amico”.
L’ispettore Raciti sarebbe stato colpito dallo sportello sinistro o comunque dal mezzo di servizio che, in retromarcia, l’avrebbe urtato causandone la morte avvenuta in ospedale. A riproporre l’innocenza di Speziale sono stati gli inviati de Le Iene di Italia 1 che hanno ricostruito gli eventi sottolineando le carenze investigative e le contraddizioni che l’inchiesta, eseguita dalla Procura di Catania, presentava sin dalle fasi iniziali. Il sottufficiale di polizia era stato ferito mortalmente davanti allo stadio Massimino di Catania il 2 febbraio 2007 dopo la partita Catania-Palermo.
Le tifoserie delle due squadre, nonostante i servizi di sicurezza, venivano in contatto provocando scontri violentissimi fra ultrà e polizia che si consumavano nel piazzale antistante la struttura sportiva. Armati di un sotto lavello i due giovani avrebbero aggredito Raciti che si trovava vicino il suo Discovery di servizio assieme ai suoi uomini. Dopo l’esplosione di una bomba carta e con i poliziotti avvolti dal fumo, l’ispettore veniva colpito da qualcosa che lo feriva gravemente al fegato.
Il poliziotto stramazzava al suolo e si piegava su sé stesso per il dolore prima di essere soccorso da altri agenti e condotto presso il vicino pronto soccorso. A parte i dubbi sull’arma del delitto che difficilmente avrebbe potuto uccidere un uomo e considerata l’assenza di registrazioni video che riprendessero chiaramente la carica dei due giovani armati di un leggerissimo “ariete” contro il poliziotto, aveva assunto importanza fondamentale la testimonianza di Salvatore Lazzaro, collega di Raciti, che aveva dichiarato in questura di essersi messo alla guida del mezzo di servizio per poi fare retromarcia.
Durante la manovra l’agente avrebbe sentito una “botta” mentre l’ispettore Raciti, posto alla sinistra del Discovery, si sarebbe portato le mani alla testa prima del suo immediato soccorso e trasporto in ospedale dove spirava. Sull’arma del delitto si erano espressi con forti dubbi gli esperti del Ris di Parma che, a seguito della loro perizia ordinata dal Gip Alessandra Chierego, dichiaravano “inidonea” l’arma del delitto a cagionare la morte del poliziotto.
Sulla scorta di questo referto Speziale veniva scarcerato. Gli stessi dubbi se li erano posti anche i giudici del Palazzaccio che per due volte, durante le indagini preliminari, annulleranno l’ordinanza di custodia cautelare e la seconda volta senza rinvio. Gli Ermellini avevano sostenuto che gli elementi raccolti dalla Procura etnea non sarebbero stati sufficienti per affrontare un processo.
Il processo, invece, si celebrerà lo stesso grazie alla derubricazione del reato che da omicidio volontario diventerà preterintenzionale. Le difese degli imputati invocheranno la legge Pecorella reiterando, inutilmente, la scarcerazione dei loro assistiti. In udienza il teste Salvatore Lazzaro non parlerà più di “botta” ma di “boato” dicendo che Raciti si sarebbe trovato non più alla sinistra del mezzo ma distante una decina di metri dall’auto.
Il processo andrà avanti con indizi frammentari e senza prove consistenti: ”…Nessuno testimonia che ha visto qualcuno o qualcosa, nessuno – ripete da anni Roberto Speziale, padre di Antonino – i poliziotti del Discovery dicono che non hanno lasciato solo un attimo l’ispettore Filippo Raciti. Nessuno ha mai visto mio figlio uccidere…”. Antonino Speziale tornerà in libertà il 15 dicembre prossimo per fine pena.
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